Le piattaforme Internet che attualmente mediano le nostre comunicazioni quotidiane diventano sempre più efficienti nella gestione di grandi quantità di informazioni, rendendo i loro utenti sempre più assuefatti e dipendenti da loro. Esistono però alternative più biologiche e organiche, come le reti comunitarie e associative, che possono consentire ai cittadini di costruire le proprie reti locali dal basso, federate, invece che con soluzioni globali, riducendo l’alienazione tecnica. Esploriamo tali possibilità in quanto opportunità per una dieta mediale più appropriata, nel più ampio contesto di tecnologie appropriate in un mondo a energia limitata.
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Aurora Val, che si occupa di progettazione, comunicazione e storia delle arti, racconta qui la sua esperienza di insegnante durante la pandemia e gli hack ideati per "sopravvivere".
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Tra emissioni, consumi, rifiuti e impronta ambientale, la rivoluzione informatica è sempre meno ecologica. [...] La rivoluzione digitale si è in effetti compiuta, almeno in larga parte, mentre la crisi climatica è sempre lì che incombe, anzi: sempre più. Ridimensionato l’ottimismo acritico della prima ondata per l’innovazione digitale – già messo in discussione, su basi economiche e politiche, da autori come Evgeny Morozov – le cosiddette ICT (information and communications technologies) hanno alla fine deluso le aspettative più rosee di riduzione dell’impatto ambientale.
Negli anni, le tecnologie informatiche e digitali sono diventate, anzi, per certi versi, parte del problema. Qualche dato: per fabbricare un computer si utilizzano 1,7 tonnellate di materiali, compresi 240 chili di combustibili fossili. Internet da sola succhia il 10% dell’elettricità mondiale e rispetto a dieci anni fa inquina sei volte di più, con un monte emissioni che eguaglia oggi quello dell’intero traffico aereo internazionale. Due ricerche su Google rilasciano anidride carbonica al pari di una teiera d’acqua portata a ebollizione, Netflix consuma da sé l’energia di 40mila abitazioni statunitensi. Mezz’ora di streaming emette quanto dieci chilometri percorsi in automobile (secondo altre fonti, non più di un chilometro e mezzo ), mentre un solo ciclo di training linguistico di un algoritmo arriva invece a inquinare come cinque automobili termiche lungo il loro intero ciclo di vita. Complessivamente, i consumi energetici dell’intelligenza artificiale raddoppiano ogni 3,4 mesi, e per risolvere in pochi secondi il cubo di Rubik a un algoritmo serve l’elettricità prodotta in un’ora da tre centrali nucleari.
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"A breve saranno tre anni dall'inizio della sperimentazione di questo strumento. Abbiamo pensato che fosse un buon momento per tracciare un bilancio dell'esperienza, sperando possa aiutare la riflessione collettiva e farci crescere insieme."
Il testo vuole essere un bilancio del percorso ad oggi, ed è scritto da chi attualmente fa parte del collettivo. Il testo sarà discusso durante l'incontro del 9 aprile (ore 19:00).
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Alcune aziende private stanno tentando di acquisire i diritti sul registro dei domini "punto org", dicitura che contraddistingue moltissimi siti web di ong ed enti umanitari. La privatizzazione potrebbe comportare un aumento del canone annuale o la perdita del proprio sito per migliaia di organizzazioni. Cruciale sarà il verdetto dell'Icann.
Bloccati una volta, ci riprovano. Prendendo una strada laterale ma ci riprovano, ignorando le vecchie norme e provando a scriverne di nuove. Com’è nel dna della finanza. A rimetterci potrebbero essere dieci milioni di utenti nel mondo. Ma non utenti qualsiasi: associazioni umanitarie, enti no profit, organizzazioni non governative. Chi prova a difendere gli ultimi, insomma.
Se ne è accorta persino Repubblica. Per questo ha pubblicato un video in cui intrervista una serie di persone che, più o meno attivamente, cercano di non utilizzare i servizi offerti dalle Big Tech: No gmail, no Whatsapp e così via.
Dall'ingegnere e padre di famiglia che installa un server in casa per gestire i documenti in cloud, passando per i Fridays For Future Italia, fino all'ex parlamentare Stefano Quintarelli, in molti mostrano che è possibile utilizzare servizi digitali che non vengono erogati dalle multinazionali del digitale e funzionano!
Guarda il video sul sito di repubblica
Visita anche il sito che raccoglie tutte le alternative ai servizi dei Big Tech
Nella puntata del 4 aprile. Un excursus dell'uso dei metadati all'interno del Web per "descrivere" in maniera comprensibile alle macchine il contenuto di una certa pagina. Vediamo che agli albori questo è molto incoraggiato, con l'uso del tag html "keywords" fondamentale per la nascita dei motori di ricerca. Man mano, il sistema appare pieno di difetti, e si passa a deprecare questo metodo, in funzione dell'estrazione automatica del contenuto. Negli ultimi anni però avviene un'inversione di tendenza: le grandi aziende informatiche rilanciano l'uso dei metadati. Infatti queste basano i loro profitti sui contenuti generati dagli utenti; più questi contenuti sono analizzabili in maniera profonda, più possono sviluppare modi di farci soldi sopra. Ecco quindi che alcune tecnologie vengono create (o alimentate) a uso e consumo dei social network o dei motori di ricerca. Sono tecnicamente aperte, sì - nel senso che sono standard aperti, implementabili da chiunque - ma sono dirette ad un fine specifico.
Notizie varie:
L'impronta di carbonio è determinante e dipende dalla qualità di produzione dell'energia (rinnovabile o no) che alimenta le fasi di fabbricazione e rifornimento degli accumulatori. Se lo scenario, che descriviamo minuziosamente, resta quello attuale, le vetture elettriche sono responsabili di emissioni maggiori di CO2 rispetto a quelle ibride e con motori termici di ultima generazione. In attesa di una conversione (vera) alle rinnovabili
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Fra le applicazioni pratiche, esaltate dagli entusiasti e sminuite dagli scettici, ricordiamo: i servizi di assistenza alla clientela (in particolare i chatbot delle compagnie telefoniche); gli acquisti, sempre più personalizzati e rapidi; i social network, in particolare le notifiche e i feed (ad esempio, la timeline di FB, costruita in base al profilo di ciascun utente); la finanza, dove gli algoritmi di trading da parecchio hanno soppiantato gli obsoleti negoziatori umani; viaggi e trasporti, dai suggerimenti del navigatore alla pianificazione degli spostamenti fino alle occasioni di ospitalità; le case furbe (smart), disseminate di sensori in grado di regolare la temperatura dell’acqua, l’illuminazione e così via; le automobili furbe (smart), con tanti accorgimenti per assistere la guida, in prospettiva delle auto a guida autonoma; la sorveglianza e il controllo, nelle strade come a casa propria, spesso attraverso sistemi di riconoscimento facciale e vocale; l’assistenza sanitaria, nella diagnosi precoce così come nella ricerca farmaceutica di nuove molecole, nella gestione dei dati dei pazienti, nella chirurgia di precisione.
E, infine, nell’educazione: per abbassare l’ansia dell’apprendimento, personalizzare l’insegnamento, ma soprattutto controllare e monitorare, valutare, schedare…
Sgombrare il campo dagli equivoci sull’IA non è banale.
Leggi l'articolo di Carlo Milani su La ricerca
Un interessante commento a proposito della proposta di legge "Istituzione della Rete di interconnessione unica nazionale dell’istruzione – UNIRE".
Stefano Penge si domanda che fine fanno la didattica e la diversità in questa idea di rete dell'istruzione. Quel che serve per la didattica non è la Piattaforma Unica, ma un ecosistema di piattaforme diverse...
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