Chi mi porta Internet a casa? Cosa vuol dire "ultimo miglio"? Dov'è il cabinet? Quanto va veloce la fibra ottica? Chi me la vende?
Possono sembrare domande di interesse esclusivamente tecnico, ma hanno delle grosse implicazioni per capire lo scenario economico e politico della connettività Internet.
Ora che Kkr ha comprato Tim, la sovranità tecnologica è compromessa? E in Europa com'è la situazione?
La puntata prova a rispondere a queste domande tramite una spiegazione della struttura della rete Internet in Italia e dei suoi possibili sviluppi.
In chiusura, due parole sul recente down di Archive.org.
Il governo ha dato l’ok alla cessione al fondo Usa, che (dicono i documenti ufficiali) farà profitti stellari tagliando su lavoro e investimenti: il 50% dei ricavi verrà dall’ex monopolista
La vendita della rete Tim è una vicenda assurda ma tutto avviene alla luce del sole e forse per questo nessuno si ribella. I numeri mostrano che il governo Meloni ha fatto un enorme regalo al fondo Usa Kkr. Metterli in fila illumina anche il modo con cui si vendono a questi giganti pezzi di industria, un pessimo segnale in vista delle privatizzazioni da 20 miliardi che il ministro Giancarlo Giorgetti ha promesso ai mercati, cioè ai “fratelli” di Kkr.
Il primo luglio Tim e il gigante Usa da 400 miliardi di asset gestiti hanno siglato il contratto di vendita dopo mesi di negoziati. Agli americani passa la rete telefonica e di connessione in rame e fibra per un prezzo di 18,8 miliardi tra esborso diretto e debito accollato. Lo Stato – tramite il Tesoro – entra nella partita spendendo due miliardi per il 20% del capitale della nuova società della rete: “Netco”. Nell’operazione entrano anche il fondo infrastrutturale italiano F2i che avrà il 10%, mentre il fondo sovrano di Abu Dhabi Adia e il Canada Pension Plan avranno quote rispettivamente del 20% e del 17,5%. Senza la rete, alla vecchia Tim resterà la parte servizi, “SerVco”, il cui secondo azionista (dietro i francesi di Vivendi) è sempre lo Stato, con Cassa depositi e prestiti (9,8%), che in questa storia ci perde due volte: venendo escluso dalla partita della rete e rimanendo azionista di una società che da inizio anno, cioè da quando il governo ha autorizzato la vendita della rete, ha visto il suo valore in Borsa calare del 24%.
Per i vertici di Tim l’operazione era una via obbligata per salvare la società, abbattendo il debito da oltre 20 miliardi che zavorra il gruppo, eredità delle mitiche scalate a debito dei privati (che peraltro sono storicamente il piatto forte di Kkr). Il punto d’arrivo dell’oscena privatizzazione degli anni Novanta.
Via libera alla vendita al fondo Kkr, il futuro è lo spezzatino di quel che resta: dalla privatizzazione con lo 0,6% degli Agnelli alle scalate a debito, ecco chi ha distrutto l’azienda
Ella fu. Tim continuerà ancora formalmente a vivere per un po’, almeno fino alla vendita pezzo dopo pezzo di quel che rimane, ma la lunga storia della società iniziata nel 1933 con la fondazione della Stet è finita ieri ed è, per i suoi ultimi trent’anni, una storia ingloriosa in cui convergono l’insipienza dolosa o colposa della classe dirigente politica e il cialtronismo straccione della cosiddetta “grande impresa” italiana, ché “il cretinismo degli industriali” di cui Antonio Gramsci non può coprire tutta la vicenda.
Nel Consiglio dei ministri di lunedì 28 agosto il governo ha approvato due decreti con cui autorizza l’acquisto di una parte della rete infrastrutturale di Tim, la principale società di telefonia italiana, insieme al fondo statunitense KKR, che ormai da settimane ne sta trattando l’acquisto con Tim. Il fondo americano KKR diventerà proprietario al 65% di un asset strategico
Nell'articolo pubblicato da Il Fatto Quotidiano, Stefania Maurizi pone una serie di dubbi: "A quali leggi e regolamenti saranno sottoposti i nuovi ‘padroni’ dei cavi? Negli Stati Uniti le tutele sono assai minori".
Leggi l'articolo
L'operazione, propagandata dal governo come il ritorno del Pubblico nel controllo di settori strategici nazionali, è in realtà la vendita ad un fondo USA.
Sul sito di AGI si può leggere un articolo che spiega la vicenda
È andata deserta la prima gara della Strategia per la banda ultralarga finanziata con le risorse del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr). Si tratta del bando per portare le connessioni internet veloci anche nelle isole minori: 60,5 milioni di euro.
Il termine per la presentazione delle offerte è scaduto il 22 dicembre senza alcuna candidatura. Secondo le informazioni raccolte dal Sole 24 Ore, hanno inciso soprattutto il tema delle garanzie fideiussorie bancarie e delle polizze assicurative, considerate troppo impegnative. Al tempo stesso, per la necessità di rispettare le scadenze intermedie imposte dalla Commissione europea sulla realizzazione dei progetti Pnrr, sono state previste penali in caso di ritardi ritenute da alcuni severe, pari fino al 20% dell’ammontare netto contrattuale.
Verso la trattativa privata
Il cronoprogramma prevede che già nel primo semestre 2022 si arrivi alla progettazione esecutiva e per sbloccare l’impasse potrebbero ora esserci colloqui tra il ministero dell’Innovazione guidato da Vittorio Colao e alcuni dei potenziali candidati, considerato che il codice degli appalti consente di procedere in questi casi direttamente a procedura negoziata in alternativa alla riproposizione di un bando riveduto e corretto.
Leggi l'articolo completo su Il sole 24 ore
Una corrispondenza a Radio Onda Rossa per cercare di comprendere il dibattito nazionale che sta dando molto spazio alla proposta di acquisto di Tim fatta da Kkr.
Colleghiamo a questo argomento anche il tema del cloud europeo, un progetto che rimane ancora non del tutto chiaro. Si può già dare per assodato, però, che il tema della sovranità che viene sbandierato per quanto riguarda la stesura della fibra non sia al centro delle attenzioni quando si parla di cloud.
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