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Cristina Iurissevich ha scritto un piccolo libro (65 pagine), "E se i troll mangiassero i cookie? Spunti per la sopravvivenza digitale", Eris Edizioni, ma utilissimo. Il libro, partendo dal presupposto che la tecnologia digitale è entrata ormai stabilmente nella nostra vita, semplifica concetti, metodi e strumenti di autodifesa digitale della propria privacy, riservatezza, libertà. Lo fa in maniera molto chiara e leggibile, ma il suo pregio maggiore non è il riepilogo delle buone pratiche per difendersi. Iurissevich affronta, infatti, il tema delle molestie e della violenza online puntando il dito su due aspetti in particolare: la fiducia verso le persone con cui si hanno relazioni online e la responsabilità collettiva nella diffusione di materiali sensibili. Per esempio condividere pasword e account, o prestare il proprio smartphone sono azioni che richiedono grande fiducia tra le persone ma le relazioni cambiano nel tempo, la fiducia si può modificare.

Il problema della diffusione di media a sfondo sessuale è spesso legata alla pratica, molto diffusa, di scambiarsi messaggi o media sessualmente espliciti (sexting). Di per se non costituisce un problema; non è moralmente giusto o sbagliato. Tuttavia, vale la pena ragionare sui pericoli che derivano dal sexting, anche alla luce delle considerazioni sulla fiducia, per arrivare a scelte individuali consapevoli. Anche in questo caso, nel libro ci sono una serie di consigli per praticare il sexting in maniera meno rischiosa possibile.

Nella diffusione di materiale a sfondo sessuale, che naturalmente provocano danni nei confronti della vittima, cioè della persona rappresentata nel media diffuso, entra in gioco la resposabilità collettiva. E' responsabilità di tutte e tutti bloccare questo tipo di diffusione, o almeno non agevolarla cercando di non condividere o convincere a non farlo.

Il libro affronta poi la tecnologia del nudifier. Si tratta di applicazioni che creano immagini con un corpo nudo partendo da una immagine reale e mantenendo una certa coerenza con la fisicità, potrebbe bastare solo una nostra foto. In sostanza una tecnologia realizzata appositamente per agevolare abusi. Su questo tema, l'autrice constata la difficoltà di difendersi, consigliando particolare attenzione alla condivisione nei social media di immagini.

C'è poi un altro aspetto che viene sottolineato nel libro: l'importanza dell'esistenza di una comunità che possa sostenere le vittime di questo genere di violenze e abusi. La solidarietà e la vicinanza di altre persone è di grande aiuto nell'affrontare lo stigma derivato da questo genere di abusi.

Il resto del libro risulta in ogni caso molto utile poiché riassume una serie di buone pratiche per sopravvivere nel digitale, come suggerisce il sottotitolo. Per esempio ci ricorda alcune regole per scegliere delle password adeguate, ci consiglia di essere attenti al mittente dei messagi che riceviamo e di riflettere prima di aprire degli allegati per evitare di aprire la porta a virus e trojan. Importanti informazioni e consigli sono dedicati all'uso delle smartphone, la cui "costante vicinanza al corpo lo rende sostanzialmente parte di esso: può essere considerato come un’estensione della persona". L'autrice invita le lettrici a ragionare sul proprio stato d'animo quando lo smartphone viene dimentaco o perso. "Il ruolo che lo smartphone svolge nella nostra quotidianità lo rende un dispositivo privato e individuale che, proprio per tale motivo, non dovrebbe essere condiviso o prestato".

Non manca naturalmente un capitolo sui social media che invita a prestare attenzione ad una serie di dettagli che possono fare la differenza tra l'essere in balia della piattaforma e mitigare i rischi di violazione della propria privacy e riservatezza che avere un account su un social edia commerciale comporta.

Quanto è successo dopo l'elezione di Trump alla presidenza degli USA ha svelato ciò che sono i proprietari delle grandi aziende tecnologiche nord americane:  un gruppo di tecnocrati che vogliono eliminare qualsiasi vincolo che impedisca loro di fare profitti sfruttando le persone. Se vuoi la versione lunga di questa storia leggi tutti i bro del presidente. Lo fanno con tutti i mezzi a loro disposizione comprese le piattaforme social. Qui puoi approfondire perché conviene abbandonare le piattaforme delle Big Tech.

Spesso la domanda che ci si pone è: ma come si fa ad abbandonare le piattaforme delle Big tech? Come quasi sempre accade, non è un problema tecnico, poiché le alternative tecniche esistono. Come (quasi) sempre accade, il problema è di decidere di fare il passo, accettare la possibilità che a volte i software liberi funzionino in maniera diversa ed abituarsi al cambiamento. Capita la stessa cosa anche quando si cambia l'automobile, o ci si trasferisce, o si cambia un elettrodomestico.

Di seguito ci sono una serie di possibili alternative ai software delle grandi imprese USA per le nostre attività in rete. Non è un elenco completo ed è in aggiornamento. Si tratta per lo più di software liberi, tendenzialmente conviviali, che consentono vari gradi di libertà, controllo e modifica.

Buona lettura

I motivi per smettere di essere utenti delle piattaforme degli oligopoli USA sono vari e diversificati. Ciò non significa smettere immediatamente di utilizzare i social network e gli altri servizi delle grandi aziende tecnologiche americane.

Siamo tutte nella stessa barca e abbiamo tutte vulnerabilità che vengono sfruttate dalle megamacchine per farci passare molto tempo "attaccate" alle loro piattaforme. Si tratta di intraprendere un percorso alla scoperta degli automatismi che mettiamo in atto che ci impediscono di scegliere, inventando soluzioni che facciano tesoro delle alternative tecnologiche già esistenti.

Entriamo nel vivo e vediamo alcuni dei motivi per cui vale la pena intraprendere questo percorso.

Cover-Cyber-bluff_web-400x575Cyber Bluff è un mini saggio che ha lo scopo di decostruire la narrazione tossica di Internet.

Ginox, l’autore del libro il cui humus di provenienza è quello degli hackmeeting italiani, ha sviluppato negli anni un pensiero critico relativamente alla conformazione attuale di Internet, ai concetti che sono alla sua base, alle tendenze nonché allo sviluppo futuro che si prospetta.

Dico subito che il libro centra il suo scopo dichiarato e, con stile leggero e a volte ironico, aiuta il lettore a dotarsi degli strumenti cognitivi e tecnici per difendersi dalle trappole tese dai servizi di Internet e per sfruttarne le possibilità offerte.

Come ormai sappiamo, WhatsApp ha dato un ultimatum a tutti i suoi utenti: chi non ha accettato la nuova policy entro il 15 maggio non potrà più usare WhatsApp.

L'azienda di proprietà di Facebook, con sede Europea in Irlanda, ci aveva già provato a febbraio 2021 sollevando feroci critiche che l'avevano indotta a rimandare la scadenza per avere il tempo di spiegare meglio agli utenti i cambiamenti introdotti nella policy.

A volte ritornano.

Ho trovato la documentazione di un vecchio progetto facendo un po’ d’ordine nei miei hard disk e l’ho trovato molto attuale. La qual cosa mi ha indotto a scriverne come esempio di un metodo di lavoro possibile e praticato. In realtà mi ha spinto a scriverne anche l'affetto che nutro per questo progetto. ;)

Radiobase è stato un percorso formativo a distanza, e in parte in presenza, promosso da Radio Onda Rossa, con la partecipazione dell'università di Roma "La sapienza". Radio Onda Rossa è una radio comunitaria, per lo più basata sul lavoro volontario dei redattori e delle redattrici. Il processo radiobase ben si presta a mostrare un possibile percorso di formazione, con gli strumenti tipici dell'e-learning, a partire dal sapere dei redattori, cioè di coloro che lavorano all’interno della redazione.

A quanto pare, come nella prima ondata della pandemia di Covid-19, il MIUR e, quindi la scuola, si è fatto trovare impreparato da diversi punti di vista. Da quello della progettazione didattica: il blended learning ha la stessa necessità di progettare le attività didattiche della DaD o della didattica in presenza, anzi forse di più; dal punto di vista dell’utilizzo dei dati: per la verità la questione si è aggravata, perché nel frattempo la Corte di Giustizia Europea ha invalidato l’accordo, detto “Privacy Shield”, tra l’Unione Europea e gli Usa; infine anche dal punto di vista del software libero.

questo articolo è pubblicato in "Formare... a distanza?", II edizione, C.I.R.C.E. novembre 2020

smart city

I sovranisti digitali dicono che l'Italia (e l'Europa) deve gestire i dati dei propri cittadini, che i dati sono il nuovo petrolio senza i quali non ci sarà ripresa economica. Intanto nasce l'infrastruttura cloud Europea "Gaia-X" e la Corte di Giustizia Europea invalida l'accordo "Privacy Shield" con gli USA, ma siamo sicuri che abbiamo davvero bisogno di memorizzare tutti questi dati?

In questo periodo di accelerazione dell'uso del digitale generato dalla pandemia si sente molto parlare, almeno fra gli addetti ai lavori, di battaglia sul cloud, di dati come nuovo petrolio e di sovranità digitale. Molti osservatori sostengono anche che dal risultato di questa battaglia dipenderà la sopravvivenza dell’Europa come potenza economica.

Sintetizziamo il ragionamento per sommi capi: i dati sono la materia prima fondamentale per l’economia e le società contemporanee. Bisogna quindi controllarli, proteggendo i cittadini e le imprese europee che li utilizzano economicamente per trarne profitto. Bisogna inoltre contrastare lo strapotere tecno-economico di Stati Uniti e Cina.

A tal fine è necessario che i cittadini e le imprese siano garantiti contro l'utilizzo "malvagio" dei dati. Ovvero bisogna impedire che potenze straniere e conglomerate Big Tech extra europee li utilizzino per attuare forme di controllo o di manipolazione dei comportamenti attraverso la pubblicità commerciale e politica “targettizzata” (Shoshana Zuboff , Il capitalismo della sorveglianza).

All’interno di questo schema generale, vediamo cosa è successo in questo periodo.

Il lockdown deciso dal governo Italiano e dalla maggior parte dei governi degli Stati a capitalismo avanzato ha determinato un'accelerazione fortissima dell'uso del digitale.

Scuole ed università si sono viste costrette ad adottare la didattica a distanza per poter proseguire le lezioni.

Questa situazione di emergenza ha fatto venire al pettine tutti i nodi di decenni di immobilismo e distruzione del poco che era stato costruito.

Innanzi tutto va detto che gli insegnanti, ma anche gli studenti e, ahimè, i genitori, si sono dovuti far carico della distanza, di inventarsi "a distanza", poiché poco o nulla è stato sperimentato sotto la guida degli organi competenti e quindi nulla è stato messo a sistema. In ordine sparso, scuole e università hanno tentato di fare buon viso a cattivo gioco, a volte facendo finta di nulla: riprodurre la didattica in presenza attraverso le video chat. Poi, pian piano, sono arrivate le assegnazioni dei compiti da fare a casa; chi attraverso le mail, chi attraverso Google Drive, qualcuno attraverso piattaforme come Edmodo, e così via. Nel frattempo il Ministero ha cominciato a dare indicazioni, tramite la sua pagina web (https://www.istruzione.it/coronavirus/didattica-a-distanza.html), sulle piattaforme per la didattica a distanza da adottare: Google Suite, Office 365, Weschool.

Il Ministero, non avendo idee migliori, ha scelto di affidarsi ai grandi sia per le garanzie di affidabilità che offrono, sia per l'abitudine che gli utenti (insegnanti e studenti) hanno già nell'uso di una parte degli strumenti messi a disposizione. È il caso di Google e Microsoft Office. E così, anche nel campo della didattica, è continuato lo scivolamento verso le imprese private di una funzione tipica della Cosa Pubblica. Una esternalizzazione in atto da anni anche in altri settori cruciali, come la sanità.

Questo è ciò che è accaduto.

Ora, passati tre mesi dalla chiusura forzata delle scuole, tutti coloro che hanno a cuore le sorti della scuola pubblica italiana chiedono che la risposta alla crisi innescata dal Coronavirus sia l’occasione per investire nella scuola: più soldi per l’edilizia scolastica e per assumere insegnanti allo scopo di ridurre il numero di studenti per classe e avere risorse per una didattica migliore che metta al centro la crescita degli studenti.

Non è ancora chiaro come riapriranno le scuole a settembre, ma per quanto se ne sa il Ministero vorrebbe "spingere" per la didattica mista: parte in presenza e parte a distanza. Le direttive sono sempre le stesse di tre mesi fa: piattaforme per la DAD delle grandi multinazionali americane, e arrangiatevi!

In questo panorama sono spariti completamente il metodo didattico, la libertà di insegnamento, la questione della privacy e dei dati, il digital divide. Proviamo a farli riemergere.