Riporto una parte della newsletter di dataninja del 6 maggio 2022, perché il tema è particolarmente caldo.
E soprattutto: facciamo davvero abbastanza perché cresca la consapevolezza su questo argomento? Ma i nostri dati biometrici sono al sicuro?
Nelle ultime ore si è parlato moltissimo di dati sanitari. La UE ha annunciato che ci sarà una banca dati sanitaria unica dal 2025, ma appena prima qui in Italia abbiamo assistito a un attacco informatico che ha fatto saltare i sistemi informativi di alcuni ospedali a Milano. Mentre sul caso milanese c'è ancora molto da capire, sul caso dell'Ulss Euganea ha scritto tempo fa Guerre di Rete, facendo anche una cronistoria dei precedenti attacchi informatici. Una fonte dice in questo articolo: «In ogni caso, adesso i sistemi che utilizziamo hanno ogni tipo di blocco, anche se quella che manca davvero è la formazione del personale sui temi della cybersicurezza».
Questa questione di essere "formati" o comunque "preparati" è fondamentale, ma è anche fondamentale avere manager consapevoli che sanno ciò che fanno. Per carità non sarà un problema solo italiano, ma pare che dalle nostre parti le discussioni sulla cybersicurezza siano sempre abbastanza farsesche, come giustamente fa notare qualcuno, perché capita spesso che chi comanda non solo non ha competenze di cybersicurezza ma non sente neanche il bisogno di aumentare la propria consapevolezza sugli strumenti digitali e relativi rischi/opportunità.
Ma chi ce l'ha davvero una consapevolezza? Se compri un'auto, tra i cento fogli che firmi potrebbero chiederti di poter analizzare i tuoi dati biometrici, ma appena ci sali sopra e la guidi ti chiedi: come li raccolgono? Dove sono i sensori? Boh! La cittadinanza si sta mobilitando per chiedere regolamentazioni grazie al sostegno delle (ancora molto poche in Europa) organizzazioni della società civile che si battono per i diritti digitali. Per esempio la campagna Reclaim Your Face raccoglie firme contro la "sorveglianza biometrica di massa".
Quello che forse dovremmo chiederci noi che lavoriamo nel contesto digitale è: ma stiamo facendo abbastanza perché si diffonda una consapevolezza sul problema?
P.s.: il 10 maggio se ne è parlato a Milano in un evento al MEET Digital Culture Center (info qui)
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Tabelle, mappe, grafici, percentuali. Tra gli effetti positivi della pandemia, c'è stato senza dubbio l'aver sdoganato l'uso dei dati per prendere decisioni più informate e comunicare meglio con i cittadini. Questo processo non è stato però accompagnato da un'adeguata diffusione della cultura del dato. Spesso si pensa che basti usare una percentuale o un grafico per rendere automaticamente più credibile e scientifico un messaggio ("lo dicono i dati!").
E così abbiamo visto esperti, politici, giornalisti salire sul treno dei dati, senza essere molto consapevoli su come vadano raccolti, analizzati e comunicati. Molti leader hanno iniziato a usare il linguaggio dei dati per spingere la propria agenda e, in alcuni casi, apertamente manipolare e ingannare i cittadini.
Leggi l'articolo completo di Nicola Bruno
Nel magico mondo dei dati certe storie non finiscono, fanno dei giri immensi e poi ritornano, come diceva Venditti.
Una di queste storie riguarda i CAP, codici di avviamento postale, che sono dati pubblici ma non sono open data. Pagati con le tasse di noi cittadini, raccolti negli anni dallo Stato italiano, ora sono di proprietà di Poste Italiane, che li vende. Se fossero open data sarebbero utilissimi per chi fa le mappe. Per come stanno le cose oggi invece, se un cittadino come me volesse usare per lavoro quei CAP, dovrebbe ripagarli un’altra volta. È uno degli “scandali” dell’Open Data italiano questo, e la stessa assurda limitazione vale ad esempio per i dati delle aziende: pagati dalle aziende e dai cittadini, oggi sono raccolti dalle Camere di Commercio che li vende (e tra gli acquirenti sai chi c’è? Ovviamente anche lo Stato! :D).
Ma andiamo per gradi, per capire per bene il tutto.
Nell'articolo ci sono dritte e criticità per trovare, usare e analizzare i dati relativi al Covid.
La redazione di Dataninja ha intervistato Ivana Bartoletti, Technical Director – Privacy in Deloitte e Co-Founder di Women Leading in AI Network.
Tra le altre cose Bartoletti dice: "Siamo abituati alla neutralità dei dati, all’idea – sbagliata – che i dati siano oggettivi e che, pertanto, ci informino sul mondo. E che quando dati in pasto agli algoritmi possono produrre predizioni e decisioni obiettive. Non c’è nulla di più sbagliato. I dati sono lo specchio della società e ne rappresentano le gerarchie e disuguaglianze. Lo stesso esercizio di raccogliere dati e di tralasciarne altri è il prodotto di un giudizio e una scelta che io definerei politica."
Leggi tutta l'intervista nel magazine di Dataninja