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Piattaforme. Sommare potere economico e potere mediatico non può che distorcere, anche molto seriamente, il processo democratico

Per quasi un decennio i social media sono stati capri espiatori così comodi che, se non fossero esistiti, qualcuno li avrebbe probabilmente inventati. Che cosa c’è, infatti, di più comodo del dare la colpa a Facebook, a Twitter o a TikTok per un voto andato storto, come per esempio quello del referendum sulla Brexit o l’elezione di Trump nel 2016? (Quando il voto, invece, va come si desidera, tutto in ordine sotto il cielo). Per completare l’operazione politica bastava poi aggiungere l’interferenza straniera (tipicamente russa): chi aveva perso non aveva comunque nulla di sostanziale da rimproverarsi, era tutta colpa dei social media e dei mestatori stranieri. Tutto, insomma, pur di non dedicarsi al difficile lavoro di comprendere la realtà sociale, e al pesante, ma essenziale, esercizio dell’autocritica.

Non che i social media, i motori di ricerca, e ora anche i servizi di «intelligenza artificiale» come ChatGPT non possano influenzare gli elettori: certo che li influenzano, anche se in genere in maniera meno diretta di quanto pensino alcuni (che peraltro in genere tendono a sminuire il ruolo, ancora molto importante, dei media tradizionali).

Leggi l'articolo di Juan Carlos De Martin

L’infrastruttura grazie alla quale miliardi di persone comunicano realizza i due sogni del potere: sapere chi parla con chi e influenzare le conversazioni

L’arresto in Francia del fondatore di Telegram sta provocando forti reazioni, anche a livello politico. Come però già in casi precedenti, basti pensare alle controversie relative a Facebook o a TikTok, le polemiche contingenti rischiano di oscurare le questioni strutturali di fondo. Si tende a dimenticare, infatti, che le tecnologie della comunicazione sono sempre state cruciali strumenti di potere e quindi sono sempre state – e oggi, più che mai, sono – tecnologie intrinsecamente politiche. Chi comunica con chi, quando, con quale frequenza, di che cosa e in quali circostanze sono informazioni che il potere – nelle sue varie forme e articolazioni, sia pubbliche, sia private – ha sempre desiderato possedere.

Inoltre, il potere ha sempre desiderato controllare il più possibile il flusso di informazioni che in qualche modo potevano influenzarne l’azione o intaccarne la legittimità. Due pulsioni, quella di tutto conoscere e quella di tutto controllare, rese entrambe ancora più intense in periodi di guerra o, comunque, di tensioni politico-sociali.

Leggi l'articolo di De Martin su "Il Manifesto"