Per indebolire un giornale online basta renderlo invisibile. Il DDoS è uno strumento economico per raggiungere l’obiettivo. Per difendersi servono reti di relazioni e peso specifico. E qui sta parte del problema
Per quasi due settimane, dal 5 al 18 luglio, IrpiMedia non è stata raggiungibile ai suoi lettori a causa di un attacco informatico. In gergo si parla di DDoS, distributed denial of service, ovvero di quella tecnica che prevede l’impiego di una complessa rete composta da migliaia di computer o server, impegnati a collegarsi contemporaneamente a un unico sito Internet in modo da mandarlo in crash e renderlo inaccessibile a chiunque.
È quanto accaduto proprio a noi, che siamo stati bersaglio di una quantità sproporzionata di connessioni per settimane, arrivata a picchi di 26 milioni di tentativi di accesso in 24 ore, rispetto alle decine di migliaia alle quali siamo abituati.
In parole povere, qualcuno ha deciso di spendere tempo e soldi per impedirci di restare online e, conseguentemente, per impedire a voi di leggerci.
L’editore tedesco rivoluziona l’app internazionale di notizie upday e chiude la redazione italiana, licenziandone i redattori. Un caso su presente e futuro dell’informazione
Un «nuovo generatore di notizie di tendenza guidato esclusivamente dall’intelligenza artificiale» sostituirà il lavoro dei giornalisti in carne e ossa.
Mentre l’Unione europea ha varato l’Ai Act, prima legge al mondo sull’intelligenza artificiale, arriva la notizia che non è uno scenario fantascientifico di una serie tv ma la realtà di upday, app e sito internazionale di notizie che ha una testata registrata anche in Italia.
La recente mossa di Meta Platforms, l’azienda che offre il servizio di social media Facebook, di introdurre un abbonamento a pagamento (12,99 euro/mese) al servizio, così eliminando le pubblicità, ha sollevato una serie di critiche e di dubbi.
I principali, ovviamente, si incentrano sulla privacy, un diritto fondamentale del cittadino che viene monetizzato e si declassa a mera merce.
È questo il problema? Ci siamo incamminati realmente verso un declassamento dei diritti dei cittadini? Sopratutto, l’alternativa tra un Facebook a pagamento e uno basato sulla profilazione degli utenti, è realmente conforme alle norme del regolamento europeo in materia di protezione dei dati personali?
Sette mesi dopo aver lasciato Facebook il traffico va bene e la fiducia dei lettori è cresciuta. Sinead Boucher, CEO del più grande sito di notizie della Nuova Zelanda, non si pente di aver lasciato la piattaforma e incoraggia altri a farlo.
L'intervista di Caithlin Mercer del Reuters Institute for the Study of Journalism dell'Università di Oxford