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Apple pubblica uno studio che smaschera i limiti dell’intelligenza artificiale: i modelli di AI non “pensano”, ma collassano di fronte a problemi complessi. La corsa verso la vera AGI sembra più lontana che mai.

Negli ultimi giorni, Apple ha scosso il mondo della tecnologia con la pubblicazione di un whitepaper che mette in discussione le fondamenta stesse dell’intelligenza artificiale moderna. Il documento, dal titolo provocatorio “The Illusion of Thinking: Understanding the Strengths and Limitations of Reasoning Models via the Lens of Problem Complexity” ossia ''L’illusione del pensiero: comprendere i punti di forza e i limiti dei modelli di ragionamento attraverso la lente della complessità dei problemi'', rappresenta una vera e propria bomba sganciata sul settore AI. Dietro la facciata: l’AI non ragiona, imita

Il cuore della ricerca è semplice ma devastante: i Large Language Model (LLM), quei sistemi che oggi chiamiamo “AI” e che aziende come OpenAI, Google e Meta sbandierano come capaci di “pensare”, in realtà non ragionano affatto. Sono semplicemente eccezionali nel riconoscere pattern e riprodurre risposte plausibili, ma quando si tratta di affrontare problemi complessi, la loro presunta intelligenza si sbriciola.

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La Commissione Ue ha multato Apple per 500 milioni di euro e Meta per 200 milioni per violazioni del regolamento sui mercati digitali Dma. Si tratta di importi relativamente modesti rispetto a multe precedentemente comminate per simili infrazioni. Possibile che la scelta di Bruxelles di limitare l’ammontare delle sanzioni sia anche un “segnale” all’amministrazione Trump della volontà europea di non andare ad uno scontro su questioni commerciali. Il presidente statunitense ha definito le normae Ue sul settore tecnologici una barriera commerciale non tariffaria che i suoi dazi reciproci mirano a colpire.

Un’ipotesi formalmente smentita dalla Commissione. “Si tratta di applicazione delle normative, non di commercio. Sono questioni distinte, completamente separate. Abbiamo un regolamento e lo stiamo applicando”, ha detto la portavoce della Commissione europea Arianna Podestà.

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Apple pagherà 95 milioni di dollari per evitare un lungo scontro in tribunale. L’accordo extragiudiziale (PDF) è stato raggiunto con lo studio legale che ha denunciato l’azienda di Cupertino per violazione della privacy. Le conversazioni degli utenti sono state registrate tramite Siri e condivise con terze parti.

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La prima parte della trasmissione è dedicata al secondo tentativo di Microsoft di lanciare un sistema di ricerca all'interno di Windows basato su intelligenza artificiale. Se il primo tentativo era stato un disastro di sicurezza, cosa possiamo dire del secondo? Indubbiamente il nuovo design sembra più solido; ma come leggere complessivamente questo progetto di accumulazione di grossi dataset in locale e di spostamento del carico computazionale sull'hardware utente?

La seconda parte della trasmissione è invece legata ad NSO e alle cause che ha con Apple e Whatsapp (avete letto bene). Benché per entrambe le aziende è chiaro che si tratti di processi il cui fine ultimo è il miglioramento della propria reputazione, rileviamo come entrambi i processi siano molto appesantiti dall'ostruzionismo e dalla copertura di Israele.

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Secondo le informazioni rivelate dalla Commissione Europea dal 2003 al 2014 l’aliquota pagata da Apple in Unione Europea è stata minima. Come riporta Politico parliamo di percentuali che vanno dall’1% allo 0,005%. Gli accordi erano stati firmati con il governo irlandese, dove la Big Tech aveva deciso di mettere la sua sede europea. La Corte di Giustizia Europea non ha ritenuto validi questi accordi: ora Apple deve restituire tutti gli arretrati.

Il tempismo non è dei migliori. A poche ore dal lancio di iPhone 16, Apple si è trovata sulla scrivania dei suoi legali una sentenza attesa da tempo. La Corte di Giustizia Europea ha deciso: Apple dovrà pagare 13,8 miliardi di tasse arretrate in Irlanda. Il motivo? I giudici hanno ritenuto non validi gli accordi fiscali stipulati da Dublino con la Big Tech californiana, accordi che prevedevano una serie di sconti in cambio della scelta dell’Irlanda come sede europea dell’azienda.

Questa decisione arriva da un contenzioso lungo dieci anni. Un contenzioso che a lungo è stato condotto da Margrethe Vestager, Commissaria europea per la concorrenza. È lei a commentare questa decisione della Corte di Giustizia: “È stata una vittoria che mi ha fatto piangere perché è molto importante. È molto importante mostrare ai contribuenti europei che ogni tanto si può fare giustizia fiscale”.

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Guerre tecnologiche. Mentre il Congresso americano si prepara a una specie di nazionalizzazione di TikTok, la Cina vieta le app di messaggistica di Meta ma anche Signal e Telegram

“Gli Stati uniti vietano TikTok? Bene, così saranno gli americani a dover usare le Vpn”. Non è un commento così raro da trovare sui social cinesi, in previsione di quanto potrebbe accadere oggi alla Camera Usa, chiamata ad approvare una legge che apre la strada alla messa al bando della popolarissima app di video brevi. Con i cittadini statunitensi che potrebbero essere costretti a utilizzare le reti private virtuali (le Vpn appunto) per accedere.

Nel frattempo, già da ieri in Cina non si possono più trovare WhatsApp e Threads. La celebre app di messaggistica e la nuova creatura di Meta (una sorta di X, ma collegato a Instagram) sono state rimosse dagli store di Apple su ordine del governo cinese.

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Big Tech. Alphabet (che controlla Google), Apple e Meta avrebbero violato il Digital Markets Act. La Commissione europea avvia un’indagine contro le tre aziende

È ancora scontro tra Europa e Big Tech americane, sempre in nome dell’apertura del mercato e del rispetto delle regole della concorrenza. Solo tre settimane dopo la pesante multa da 1,8 miliardi di euro comminata ad Apple da Bruxelles per violazione alla competitività in merito allo streaming musicale, la Commissione europea ha avviato ora un’indagine per non rispetto del Digital Market Act (Dma) – la legge sui mercati digitali entrata in vigore da due settimane – contro tre colossi digitali: Aphabet, che controlla Google, Meta, a cui fanno riferimento i social network Facebook e Instagram, e di nuovo contro il gigante di Cupertino.

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Apriamo la puntata parlando del Piracy Shield, anzi lasciamo parlare l'AGCOM a riguardo. La scoperta delle più moderne tecnologie Internet, quali i siti e le CDN, mette l'AGCOM di fronte ad una grossa questione: bloccare i siti illeciti senza bloccare quelli leciti è difficile.

Negli USA, il complottismo (rappresentato da Schmitt, trumpiano DOC) arriva di fronte alla corte suprema, protestando per le limitazioni alla libertà di espressione subite, secondo lui, da account di estrema destra. Vista la composizione attuale della corte suprema, c'è da tremare.

Apple è stata accusata dall'antitrust USA di abusare della condizione di monopolio, facendo il tipo di cose che hanno sempre fatto: evitare l'interoperabilità.

L'ONU approva a larghissima maggioranza una risoluzione non vincolante sull'intelligenza artificiale. Si parla di rispetto dei diritti umani, ma sempre rimanendo sul vago. Non stupisce quindi ci sia stata l'unanimità.

Ascoltate la puntata intera o i singoli argomenti sul sito di Radio Onda Rossa

Il dipartimento di Giustizia: la big tech viola le leggi antitrust penalizzando le compagnie che potrebbero farle concorrenza

Per la terza volta in 14 anni il Dipartimento di Giustizia, Doj, e i procuratori di 16 stati, hanno citato in giudizio Apple, accusata di impedire alle società concorrenti di accedere alle funzionalità hardware e software di iPhone e Smart Watch, violando le leggi antitrust.La causa è stata depositata presso un tribunale federale del New Jersey e rappresenta il culmine della cosiddetta «indagine del secolo» avviata nel 2019, quando il dipartimento ha citato in giudizio Google e Alphabet per monopolizzazione del mercato. L’anno seguente un’indagine della sottocommissione giudiziaria della Camera ha poi stabilito che Apple, insieme a Google, Amazon e Meta esercitava «tipologie di monopoli» simili a quelli visti «all’era dei baroni del petrolio e dei magnati delle ferrovie», e che potevano essere considerate colpevoli «di aver ucciso la concorrenza acquisendo i competitor, e di aver privilegiato e sostenuto i loro servizi affossando quelli di soggetti terzi di più piccole dimensioni».

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E' in vigore dal 7 marzo il regolamento che l’Europa ha voluto per riequilibrare la concorrenza nei mercati digitali.

Le big tech stanno cambiando molta della tecnologia alla base dei loro servizi e gli utenti europei se ne accorgeranno presto: tutto perché scattano giovedì le regole del Digital Markets Act, il regolamento che l’Europa ha voluto per riequilibrare la concorrenza nei mercati digitali.

Con sanzioni fino al 10 per cento del fatturato globale, che raddoppiano in caso di recidiva: un bel disincentivo. Non sorprende che le big tech stiano cominciando ad annunciare importanti modifiche, anche se alcune novità forse richiederanno ancora mesi e un braccio di ferro con l’Europa per esprimersi appieno. Le modifiche che le big tech stanno facendo ora sono in effetti “proposte” di adeguamento al Dma, che la Commissione europea dovrà valutare. Leggi cosa cambia per gli utenti sul sito de "IL Sole 24 ore"