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Il Garante austriaco ha sentenziato che Google Analytics è illecito ai sensi del GDPR. Sorpresi? Non siatelo.

Il pronunciamento dell’Autorità Garante per la protezione dei dati personali austriaca (vedi articolo di Saetta) ha deciso che l’utilizzo del servizio Google Analytics, fornito da Google LLC, non è conforme alla normativa europea.

Walter Vannini spiega perché questo pronunciamente potrebbe diventare una valanga.

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Con la decisione del 22 dicembre 2021, l’Autorità Garante per la protezione dei dati personali austriaca ha deciso che l’utilizzo del servizio Google Analytics, fornito da Google LLC, non è conforme alla normativa europea.

Come sappiamo, il quadro normativo americano consente alle agenzie di quel paese di imporre alle aziende di condividere i loro dati (Google ha evaso circa 201mila richieste nel solo 2019). Questo è il motivo per cui la normativa USA non è conforme a quella Europea. La conseguenza è stata che a luglio 2020 la Corte di Giustizia Europea ha invalidato l’accordo, detto “Privacy Shield”, tra l’Unione Europea e gli Usa

La situazione è ormai chiara, l’utilizzo dei servizi digitali delle aziende americane non è pienamente conforme, allo stato, alle norme europee, in quanto nessuna azienda americana si può sottrarre alle richieste delle agenzie americane di ottenere dati dei cittadini europei. E se questo è vero per Google Analytics, tra l’altro uno dei servizi più usati al mondo, vale anche per tutte le altre aziende americane.

Leggi l'articolo completo di Bruna Saetta

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  • È ormai verosimile che i dati della pubblica amministrazione italiana saranno in futuro gestiti da una cordata composta da Tim, Cdp, Sogei e Leonardo, dove però il principale fornitore tecnologico sarà Google, che con Tim ha avviato un’importante partnership nazionale.
  • È un problema innanzitutto di autonomia tecnologica: come si fa a far girare tutti i propri dati e servizi su piattaforme online il cui interruttore si trova negli Usa?
  • E poi c’è il tema della sovranità, perché gli Usa dispongono di normative extraterritoriali, il Cloud Act ed il Fisa 702, che consentono loro di accedere a qualsiasi dato contenuto nei server di loro operatori, anche se ubicati in Europa.

In rete girano già battute del tipo: «I dati della pubblica amministrazione sono su Google, così sarà più facile trovarli». Scherzi a parte...

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L'ultima versione del browser capisce quando l'utente si allontana dal computer, e lo dice ai siti.

Google ha implementato la Idle Detection API, un'interfaccia di programmazione che consente ai siti di capire se l'utente che ha aperto una delle loro pagine sia ancora davanti al computer o allo smartphone (poiché sta facendo qualcosa) o se invece se ne sia andato.

Sebbene ogni sito debba chiedere il permesso di usare i dati forniti dall'API, Mozilla ritiene che il suo funzionamento dia vita a «un'opportunità per il capitalismo di sorveglianza» in quanto «invita i siti a invadere aspetti della privacy fisica degli utenti, a mantenere per molto tempo dati circa il comportamento fisico dell'utente, a impararne i ritmi quotidiani (come la pausa per il pranzo) e a utilizzare questi dati per una manipolazione psicologica proattiva (per esempio agendo sul senso di fame, sulle emozioni, sulle scelte)» come spiega Tantek Çelik.

Leggi l'articolo originale su ZEUS News

I motori di ricerca sono neutrali? Oppure ci manipolano? Come tutti gli algoritmi anche i motori di ricerca sono sostanzialmente matematica applicata, basati su grandi numeri (Big Data), cosa che conferisce loro generalmente un’aurea di obiettività.

Uno studio del 2021, dal titolo Visualizing Divergent Search Results Across Geopolitical Borders, di Rodrigo Ochigame e Katherine Ye, ha dato un contribuito alla discussione critica sulla neutralità dei motori di ricerca. Per fare ciò gli autori si sono avvalsi di un’interfaccia sperimentale, Search Atlas (qui l'annuncio del lancio), al fine di comprendere come funziona l’algoritmo di Google, e quali sono le differenze di risultati che presenta agli utenti.

Ad esempio, la ricerca “crimean annexation” mostra risultati differenti a seconda dell’impostazione del motore di ricerca. Per gli utenti russi la ricerca evidenzia che la Crimea è territorio russo, per gli ucraini si parla di “occupazione”, e così via.

Leggi l'articolo completo su Valigia Blu

Un articolo molto chiaro di Luciano Paccagnella, docente di Sociologia della conoscenza e delle reti dell'Università di Torino, che spiega in maniera molto chiara quali sono le questioni in ballo nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) relativamente ai processi di digitalizzazione e innovazione del Paese che hanno particolare rilevanza all'interno del Piano.

In cosa consiste una società "completamente digitale"? Come è affrontato il tema delle "competenze digitali, tra le quali non vi sono solo competenze strettamente tecniche (per esempio, come impostare una tabella in un foglio elettronico) ma anche e soprattutto competenze cognitive critiche (per esempio: come stimare rapidamente l’affidabilità del sito internet che stiamo consultando?)".

"Ma il punto cruciale del piano è quello che riguarda la digitalizzazione della Pubblica Amministrazione, dove la parola d’ordine è “cloud first”. " L'autore fa alcuni esempi per spiegare qual'è il problema del Lock In tecnologico. Quali scelte faranno le PA in tema di cloud? Si affideranno al cloud pubblico di Google, Amazon, o Microsoft? Ma cosa hanno di pubblico i servizi di queste aziende?

Leggi l'articolo completo.

PNRR. A. Baldassarra: “Cloud nazionale? Il governo rifiuti una narrativa sbagliata che penalizza imprese e competenze italiane”

Il vero rischio è che con i nostri soldi del PNRR contribuiremo a far crescere il PIL degli altri. E questo senza considerare il rischio di trovarsi, negli anni a venire, a commentare ancora una volta una “occasione perduta”, con scempio delle competenze e delle capacità industriali del Paese, come già avvenuto nel secolo scorso prima con l’elettronica e poi con l’informatica.

Ultimamente in Italia si è acceso e continua ad andare avanti in modo importante il dibattito sul tema del “Cloud Nazionale”.

In vista del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) il Ministro Vittorio Colao ha infatti comunicato che il suo obiettivo è creare un cloud unico per la PA entro il 2022.

Un intervento, quello di Colao, che ha mosso le acque sul tema della nuvola, scatenando il dibattito su come verrà presidiato il terreno della digitalizzazione in Italia.

Come si è appreso dalla stampa, in un primo momento sembrava che i gruppi candidati ad avere un ruolo preponderante nel piano “Italia Digitale 2026” a difesa della sicurezza cyber italiana e per la digitalizzazione sul Cloud fossero rappresentati dalle alleanze Leonardo–Microsoft, Fincantieri–Amazon e TIM–Google, quest’ultima partita per prima nel 2020. Ora, nelle ultime ore sembra prender piede un diverso schema di gioco centrato su un accordo a tre tra Cassa Depositi e Prestiti (CDP), Leonardo e TIM (dietro cui sarebbe diluita in modo silente la presenza di Google).

Leggi l'articolo intero con l'intervista a Baldassarra, AD di Seeweb.

Non si può dire che il cloud sia un tema sottostimato dell’agenda nazionale: il Ministero dell’Innovazione l’ha individuato come un punto fondamentale della propria azione,

Il ministro dell’Innovazione ha recentemente annunciato che l’Italia seguirà il modello francese, quello cioè annunciato da Parigi la settimana scorsa, che prevede che i dati della PA siano rigorosamente gestiti da operatori europei, in modo da porli al riparo da intrusioni di agenzie estere, in particolare americane, alle quali la normativa statunitense del CLOUD ACT ha concesso il dono dell’extraterritorialità.

Quindi tutto bene se il nostro governo seguirà questa via che, peraltro, avrebbe il pregio di dare fiducia e fiato all’industria ICT nazionale. Poi però si leggono notizie di stampa secondo cui il futuro Polo strategico nazionale, dove dovrebbero confluire asset e dati strategici della nostra PA, sarà gestito da un “campione nazionale” in “partnership” con un campione digitale globale. I nomi circolati fino ad ora sono TIM (con Google), Fincantieri (con Amazon) e Leonardo (con Azure/Microsoft). E allora viene il dubbio: il governo ha capito fino in fondo la lezione francese?

Leggi l'articolo integrale di Innocenzo Genna

Puntata del 16 maggio 2021.

Nella ricerca delle informazioni su internet è sempre stato importante catalogare i risultati, per esempio utilizzando funzioni di base come i segnalibri. Col passare del tempo si sono affermati sistemi di ricerca più sofisticati basati su dati strutturati accessibili agli utenti, ma hanno avuto ben poco successo... il mondo si è evoluti invece verso sistemi di ricerca che in realtà sono sistemi di raccomandazione di risultati.

Questi sistemi si basano senza ombra di dubbo su strutture e relazioni tra molti dati, ma le strutture fondamentali rimangono oscure all'utente che non può quindi sfruttarli per effettuare ricerche personalizzate, limitandosi quindi ad essere passivo rispetto ai suggerimenti del software. Questa evoluzione si è vista in vari campi, dalle rubriche alle mappe alla ricerca di contenuti specifici, e risulta in una delega nei confronti dei fornitori di servizi che possono introdurre parti di loro esclusivo interesse negli algoritmi di "raccomandazione".

A seguire, la solita razione di notiziole.

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È la prima volta che succede in una grande società tecnologica americana, ed è il culmine di un lungo percorso di proteste. Questa settimana 230 lavoratori di Google, che presto sono diventati più di 400, hanno per la prima volta formato un sindacato che accoglie assieme ingegneri, programmatori e i dipendenti a tempo determinato dell’azienda. Il sindacato, che si chiama Alphabet Workers Union (AWU; Alphabet è il nome del conglomerato che comprende Google e YouTube, tra gli altri), è anche uno dei primi in assoluto all’interno dell’industria tecnologica americana, il primo in una delle sue aziende più importanti.

google walk out

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Nella puntata del 20 dicembre si parla di vari argomenti.

  • Google down per quasi un'ora! Alla facciaccia vostra! Ma come ha fatto a succedere? In fondo anche in sistemi molto grandi e complessi, pensati per la massima robustezza, dei piccoli errori umani possono sempre capitare.
  • Visa e Mastercard bloccano il pagamento a Pornhub dopo l'inchiesta che mostra come molti video sulla piattaforma sono stati caricati in modo non consensuale. Se nel caso specifico si tratta probabilmente di pinkwashing, ma si può essere d'accordo che una ripercussione per certe pratiche sia auspicabile, va notato che queste due aziende di fatto sono in grado di determinare la possibilità per un'attività basata su internet di esistere, dato che hanno il monopolio delle transazioni economiche.
  • I brevetti software potrebbero arrivare in Europa? non c'è da escluderlo.
  • Facebook teme che la fine del mondo (ovvero la fine del tracciamento e della pubblicità personalizzata) stia per arrivare, e la Apple ne avrebbe la colpa.

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Il guasto a Google è servito anche a confermare che le credenziali di tutti gli utilizzatori dei loro servizi sono gestite da un’unica piattaforma di autenticazione situata negli Stati Uniti. E questo – come si è visto per i servizi colpiti – riguarda anche le scuole italiane. È ora che il Garante Privacy intervenga

La documentazione ed i contratti proposti da Google indicano chiaramente che i dati personali “potrebbero” essere trasferiti negli Stati Uniti ma diversi addetti alla privacy, istituzioni come il Ministero dell’Educazione o altre organizzazioni diversamente abili dal punto di vista tecnico ed in materia di protezione dei dati hanno promosso gli strumenti Google, e Microsoft, credendo che i dati ed i servizi sarebbero rimasti in Europa.

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Giovedì la Commissione nazionale francese per l’informazione e la libertà (CNIL), autorità francese per la tutela dei diritti alla privacy, ha annunciato di aver multato Google e Amazon per il mancato rispetto delle regole sui cookie, i file utilizzati per tenere traccia delle attività degli utenti. Google dovrà pagare una multa di 100 milioni di euro per tre violazioni della legge francese sulla protezione dei dati e Amazon una sanzione di 35 milioni di euro per due violazioni.

Leggi l'articolo completo su Il Post.

Puntata dedicata a 3 casi piuttosto diversi, di interazione tra grandi aziende teconogiche e lavoratori:

  • nel primo caso Google licenzia (o accompagna alle dimissioni...) una sua ricercatrice, Timnit Gebru, perché un suo articolo sul bias algoritmico non rispettava gli standard aziendali
  • nel secondo Amazon assolda la Pinkerton, azienda famosa nella storia delle relazioni tra aziende e lavoratori, per indagini di intelligence sui suoi stessi lavoratori;
  • nel terzo troviamo la Microsoft impegnata a studiare software per rendere più efficienti i lavoratori ("Productivity Score") o le riunioni in base ai comportamenti registrati, confrontati con l'"ideale" da una AI e aggregati in punteggi ipersemplificati.

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Addio ai backup gratuiti illimitati.

Poco più di sei mesi: è questo il tempo a disposizione degli utenti per mettere ordine tra le immagini di Google Foto prima che la scure si abbatta su quelle in sovrannumero.

Al momento Google segue una politica abbastanza generosa per quanto riguarda il salvataggio delle fotografie e dei video: il materiale caricato in risoluzione originale viene conteggiato ai fini di calcolare lo spazio occupato, ma il backup dello stesso (eseguito in formato compresso e in qualità ridotta) no.

A partire dal primo giugno 2021 ciò cambierà. Anche le copie di backup verranno conteggiate all'interno dello spazio a disposizione di ogni account, che ammonta a 15 Gbyte per quelli gratuiti.

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