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Un’inchiesta del New York Times parte da un rapporto Wood MacKenzie e dagli aumenti dei prezzi degli ultimi anni: privati e piccole imprese potrebbero caricarsi ulteriormente sulle spalle gli oneri degli aggiornamenti della rete necessari a Big tech.

Famiglie e piccole imprese statunitensi stanno pagando l’energia a prezzi maggiorati, negli ultimi anni, ma le tariffe elettriche a loro carico potrebbero aumentare ulteriormente, a breve. E la ragione non è in quel che consumano loro, ma in quel che consuma il settore Big tech per mandare avanti datacenter e servizi di Intelligenza artificiale (Artificial intelligence, AI).

Secondo i dati citati dal NYT si prevede che la domanda di elettricità in alcune parti degli Stati Uniti aumenterà fino al 15% solo nei prossimi quattro anni. «Il rapido aumento dei datacenter, che utilizzano l'elettricità per alimentare i server di computer e mantenerli freschi, ha messo a dura prova molte utility», scrive il quotidiano statunitense. Oltre a investire per soddisfare la domanda, i servizi pubblici stanno spendendo miliardi di dollari per rendere i loro sistemi più sicuri contro incendi, uragani, ondate di calore, tempeste invernali e altre condizioni meteorologiche estreme: «I disastri naturali, molti dei quali sono legati al cambiamento climatico, hanno reso le reti elettriche più inaffidabili degli Stati Uniti. Questa spesa è uno dei motivi principali per cui le tariffe dell'elettricità sono aumentate negli ultimi anni».

Negli Stati Uniti e in Europa tali costi vengono al momento “socializzati” e redistribuiti sulle bollette di tutti gli utenti. Un approccio comprensibile se l’obiettivo è un bene comune (per esempio la decarbonizzazione grazie al passaggio alle rinnovabili). Ma se invece gli investimenti in infrastrutture energetiche servono a facilitare i già colossi guadagni dei giganti digitali, è giusto che a pagare siano le famiglie e le piccole imprese?

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L’IA è una divoratrice insaziabile di energia: basti pensare che, per poter funzionare, da sola riesce a immagazzinare il due per cento dell’elettricità consumata dall’intero pianeta. Lasciandosi alle spalle una considerevole impronta di carbonio dal momento che è alimentata da energia elettrica non rinnovabile e consuma milioni di litri di acqua dolce. È stato calcolato che, entro il 2027, la sua sete potrebbe arrivare, entro i prossimi due anni, a prosciugare il pianeta di 6,6 miliardi di metri cubi di acqua potabile; per non parlare degli impatti costanti derivanti dalla costruzione e manutenzione delle macchine.

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Puntata quasi monografica: a partire dalla recente entrata in vigore di una legge che permette il riutilizzo di rifiuti elettronici, parliamo non solo della legge e dei regolamenti che prescrive, ma anche del modo in cui questi ed altri regolamenti vengono creati, degli enti che scrivono i testi e di quali settori economici e sociali vengono da essi rappresentati.

Per concludere, una singola notiziola: gli ultimi iPhone sono più riparabili, sì, ma solo per Apple stessa. Tutto merito del parts-pairing.

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Le terre rare sono un gruppo di 17 minerali ormai considerati indispensabili per la transizione ecologica e digitale, visto il loro diffuso utilizzo in ambiti come le tecnologie avanzate, la medicina, la difesa e le infrastrutture per trarre energia da fonti rinnovabili. Tuttavia si tratta di materiali che in natura si presentano in concentrazioni molto basse, legati in composti con altri minerali. Il che rende la loro estrazione un processo lungo, complesso e, soprattutto, altamente inquinante.

Ad oggi la produzione di terre rare raggiunge le centinaia di migliaia di tonnellate ogni anno: 243.300 nel 2020, di cui circa 140mila prodotte dalla Cina e 38mila dagli Stati Uniti. La Cina da sola detiene il 38% delle riserve esistenti a livello globale, per un totale di 44 milioni di tonnellate su 115,8.

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