Pochi sotto ai 34 anni lavorano da remoto: tra le spiegazioni, la precarietà. Un focus dall'indagine Cgil-Fondazione di Vittorio sulle condizioni di lavoro
C’è una preoccupante questione generazionale che riguarda lo smart working. È questo uno degli aspetti più interessanti – e problematici – che emerge dal capitolo sul lavoro da remoto contenuto all’interno dell’Inchiesta nazionale sulle condizioni e le aspettative delle lavoratrici e lavoratori promossa dalla Cgil nazionale, coordinata dalla Fondazione Di Vittorio e condotta in collaborazione con le strutture della Confederazione. Un’indagine capillare, coordinata da Daniele Di Nunzio della Fondazione Di Vittorio, e che ha raggiunto 31 mila lavoratrici e lavoratori di tutti i settori pubblici e privati, tutte le dimensioni di impresa, tutte le tipologie contrattuali e anche a chi era senza contratto o disoccupato. All’interno del campione il 21% degli intervistati dichiara di lavorare da casa. Di questi, quasi 6 su 10 lavorano da casa 1 o 2 giorni a settimana, il 19% tre giorni a settimana e il 23,6% quattro giorni o più.
In caso di mancato rispetto della previsione dell’articolo 4 co. 1 dello Statuto dei lavoratori si profilano due responsabilità di diversa natura: penale del datore di lavoro, inteso quale rappresentante legale della Società, e amministrativa dell’ente derivante dalla violazione della normativa privacy. Facciamo chiarezza
Esistono importanti rischi sanzionatori collegati alla violazione dell’art. 4 co. 1 dello Statuto dei Lavoratori relativo al controllo a distanza dei lavoratori.
In caso di mancato rispetto della previsione normativa, infatti, possono profilarsi due responsabilità di diversa natura. La prima riguarda la responsabilità penale del datore di lavoro, inteso quale rappresentante legale della Società.
La seconda riguarda la responsabilità amministrativa dell’ente derivante dalla violazione della normativa sulla protezione dei dati personali (Codice Privacy e GDPR).
Analizziamo le norme per fare un po’ di chiarezza.
Un testo del sociologo Antonio Casilli che è interventuo alla giornata di dibattito presso il Monk di Roma dal titolo «C’è vita oltre il lavoro», organizzata da Tlon
Angelica, giovane donna di 27 anni, vive a Tambaú, a nord della megalopoli di San Paolo. Il suo lavoro: «addestrare» robot aspirapolvere, piccoli elettrodomestici dotati di telecamere intelligenti che riconoscono e evitano ostacoli. Anche i più inattesi, come gli escrementi degli animali domestici. Angelica è retribuita per scattare foto delle deiezioni del suo cane. Le sue immagini, etichettate e catalogate, vengono pagate solo pochi reais su una delle cinquantaquattro piattaforme di micro-lavoro attive in Brasile. L’esempio di Angelica è tratto dal rapporto Micro-lavoro in Brasile. I lavoratori dietro l’IA? pubblicato il 19 giugno dal centro Latraps (Brasile), in collaborazione con il mio gruppo di ricerca DiPLab (Francia). Per anni, con i miei colleghi e studenti ho condotto inchieste come questa in diciannove paesi in Europa, Africa e America Latina. Alla domanda: «Dove viene prodotta l’intelligenza artificiale?», oggi noi diamo una risposta originale: non nella Silicon Valley o in grandi centri tecnologici dei paesi del Nord. I dati, ingredienti fondamentali dell’IA, vengono prodotti nei paesi emergenti e in via di sviluppo.
Grandi e piccole imprese digitali pagano il prezzo della crisi finanziaria. Ma il ciclo tecnologico è pronto a ripartire con le prime applicazioni su larga scala delle tecnologie di intelligenza artificiale. Sarà la regolamentazione, figlia di una politica che inizia a occuparsi del digitale, a far capire che la crescita non è infinita.
Intervista con l'imprenditore e informatico Stefano Quintarelli
Intervista ad Antonio Casilli, autore di «Schiavi del Clic»: «Dietro questa tecnologia c'è un'enorme quantità di lavoro sui dati fatto da grandi masse di persone. C'è un filo rosso che lega chi allena ChatGpt e i suoi utilizzatori»
Nel comunicato del garante della Privacy che blocca l’assistente virtuale ChatGpt c’è un passaggio illuminante in cui si osserva che l’illecita raccolta dei dati personali avviene in mancanza di una «base giuridica» e «allo scopo di addestrare gli algoritmi sottesi al funzionamento della piattaforma».
L’«addestramento» è stato effettuato dagli utenti di questo software che, stimolati dalla stupefacente operazione di marketing basata sull’immaginario apocalittico della sostituzione del lavoro, e persino degli esseri umani, da parte dei robot nelle ultime settimane hanno lavorato gratuitamente, e probabilmente inconsapevolmente, allo sviluppo di ChatGpt bombardandolo con le richieste più singolari e divertenti. Ciò ha permesso alla società OpenAI che ha lanciato anche ChatGpt, fondata a San Francisco nel 2015, di raccogliere fondi da decine di miliardi di dollari, e investimenti cospicui da parte di Microsoft.
Mondo digitale ha pubblicato un bel articolo di Carlo Milani e Vivien García. Di seguito potete leggere il sommario mentre l'articolo completo è sul sito di Mondo Digitale
"L'IA affascina e spaventa. Uno spauracchio si aggira per il mondo: il timore che esseri tecnologici intelligenti sostituiranno gli esseri umani in (quasi) tutte le loro attività, a partire dal lavoro. L'IA se ne occuperebbe automaticamente, agendo come un aiutante magico, capace di svolgere qualsiasi compito assegnato.
Attingendo alla prospettiva di Gilbert Simondon sull'alienazione tecnica,sosterremo che l'automazione è in realtà il livello più basso possibile di interazione uomo-macchina. L'analisi di Simondon offre un metodo per
prendere le distanze sia dalla tecnofobia che dalla tecnofilia, promuovendo una cultura tecnica capace di sviluppare "macchine aperte", caratterizzate da un certo livello di variabilità nel loro funzionamento reciproco con gli umani.
Ricordando alcune tappe fondamentali nella storia dell'IA, sosterremo che le cosiddette macchine digitali "intelligenti", basate su algoritmi di riduzione dei dati, sono caratterizzate da una modellazione statistica che talvolta tende, a prescindere dall’intenzione degli esseri umani coinvolti, a incorporarne alcuni presupposti ideologici, credenze e valori. Usando la nostra analisi dell'interazione umana con i motori di ricerca potenziati dall'IA, mostreremo come i sistemi automatizzati stiano diffondendo il condizionamento reciproco tra umani e macchine. Più gli esseri umani si rivolgono a queste macchine in
modo meccanicamente semplice e non ambiguo, più esse agiscono "automaticamente" e sembrano "intelligenti".
Infine analizzeremo lo sfruttamento di questi sistemi di condizionamento reciproco in una miriade di micro-attività digitali a scopo di lucro. L'IA in questo contesto si manifesta come un essere tecnico di formazione antropologica e manipolazione comportamentale, molto lontano dall'ideale di "macchina aperta" proposto da Simondon."
Uno dei fenomeni che hanno segnato il mondo dell’industria tecnologica mondiale nel 2022 è sicuramente l’ondata di licenziamenti dei dipendenti delle Big Tech.
Con questo termine – almeno in questo articolo – intendiamo generalmente le grandi piattaforme digitali basate negli Stati Uniti: i cosiddetti GAFAM (Google, Amazon, Facebook o Meta, Apple e Microsoft), Twitter, ma anche altri attori del settore, come Uber o Spotify. Sotto questa espressione si raggruppano solitamente le aziende tecnologiche leader nei rispettivi settori, con alte valutazioni di mercato e una significativa influenza sullo sviluppo dell’industria.
Dopo un momento di crescita che pareva inarrestabile, culminato durante la pandemia del 2020 – 2021, aziende come Google, Facebook, Twitter, Microsoft hanno iniziato a lasciare a casa i loro lavoratori, a blocchi di centinaia o di migliaia, o a interrompere le assunzioni.
Walter Vannini offre uno sguardo all'economia politica di chatGPT e disruption assortite. La forza del marketing nel vendere fuffa.
Ma in ogni caso: quali saranno le conseguenze sul lavoro delle persone delle tecnologie definite Intelligenza Artificiale e in particolare quelle basate sul Natural Language Processing, come ChatGPT? Chi guadagnerà dall'impatto di queste tecnologie (Spoiler: i datori di lavoro)?
Il lavoro da remoto ha un bacino potenziale di 8 milioni di persone. E ora, dopo il Covid, le imprese cominciano a considerarlo come strumento per tagliare spazi e costi, soprattutto quelli dell'energia. Meno spese anche per i lavoratori, per esempio per i trasporti, ma quelle casalinghe potrebbero alzarsi
WFH - Watched from Home: Office 365 and workplace surveillance creep
da Etica Digitale: Microsoft: l'azienda consente al datore di lavoro di monitorare tutte le attività legate ai prodotti Office 365, e di leggere i contenuti delle chat e delle mail tramite Teams e Outlook.
Attraverso il "Microsoft Office 365 Admin Center" un amministratore può selezionare specifici utenti e leggere diverse informazioni sui dipendenti, tra cui: quanto tempo hanno passato in chiamate, quanti messaggi hanno scambiato, a quante riunioni hanno partecipato e quali dispositivi hanno usato. È anche possibile accedere a documenti, e-mail e messaggi delle persone su Teams.
Questo aspetto è in verità specificato nell'informativa sulla privacy dell'azienda, tuttavia è così seppellito nel testo che è pressoché impossibile notarlo. A prescindere, i dipendenti spesso non hanno altra scelta che acconsentire all'utilizzo di tali programmi.
Una interessante inchiesta sul discutibile uso dell'Intelligenza Artificiale per la selezione di domande di lavoro.
I software per la selezione del personale promettono di identificare i tratti della personalità dei candidati al lavoro sulla base di brevi video. Con l'aiuto dell'Intelligenza Artificiale (IA), dovrebbero rendere il processo di selezione dei candidati più obiettivo e veloce.
L'inchiesta di alcuni giornalisti della BR (Bavarian Broadcasting) ha verificato che un'Intelligenza Artificiale può essere influenzata dalle apparenze. Ciò potrebbe riprodurre stereotipi e costare il lavoro ai candidati.
Leggi l'inchiesta e scopri cosa hanno analizzato i giornalisti
Bello il telelavoro agile. O forse non sono tutte rose e fiori?
Puntata del 17 dicembre del podcast DataKnightmare: L'algoritmico è politico di Walter Vannini.
Perché non ci abbiamo pensato prima. Come cambia la vita dei lavoratori da remoto. Chi guadagna dal lavoro agile.
Nella puntata del 14 novembre 2021 affrontiamo il tema dello sfruttamento nel mondo del lavoro dell'IT, soffermandoci in particolare sulle specificità italiane, tra cui l'uso di forme di organizzazione del lavoro come il body rental, le (più o meno finte) consulenze. Insieme a Simone, uno degli organizzatori di Tech Workers Coalition Italia, riflettiamo sulle conseguenze che queste modalità hanno sugli ambienti di lavoro, sulla vita di lavoratori e lavoratrici, sulla qualità dei software prodotti - i quali, non dimentichiamolo, spesso si traducono in servizi offerti al cittadino.
Ci facciamo anche raccontare cosa TWC è e non è, a chi si rivolge, quali modalità di organizzazione ha e quali prospettive.
Ascolta la puntata sul sito di Radio Onda Rossa
Negli ultimi anni molte società in tutto il mondo hanno cominciato a usare l’intelligenza artificiale per selezionare il personale da assumere, con lo scopo di eliminare dalla scelta eventuali pregiudizi e rischi di discriminazioni. Ma secondo gli esperti di tecnologia affidarsi a un algoritmo non è una soluzione, perché gli strumenti utilizzati tendono a imitare i preconcetti umani.
La mancanza di inclusività nelle squadre di programmatori e tecnici informatici, composte principalmente da uomini bianchi, si riflette infatti nei meccanismi automatici di selezione, penalizzando le donne e le persone lgbt+ o appartenenti alle minoranze.
Guarda il video della Thomson Reuters Foundation.
Argomento principale della puntata di "Le Dita nella presa" è la gig economy. L'aspetto più diffuso di questo modo nuovo e pericoloso di intendere il lavoro sia quello legato alle consegne a domicilio, c'è in realtà anche molto altro; il tratto comune è quello di scomporre il lavoro in piccole "attività" che possono così essere gestite come cottimo. Vediamo, analizzando alcuni siti, come questa tendenza anche se forse non del tutto espressa sia già in atto ad esempio con i siti di Q&A (domande & risposte).
Felicitazioni: 3-4-5 settembre, hackmeeting a Ponticelli (Bologna)! non mancate.
Che succede in India: il governo di estrema destra fa la voce grossa contro Twitter per quanto riguarda la censura di temi scomodi al governo. Prendendo spunto da questo episodio, vediamo come il modo in cui i paesi cercano di controllare il discorso pubblico su Internet rifletta le strutture economiche dei paesi stessi.
Alcune notiziole dalla Cina: browser spioni e dati biometrici richiesti da TikTok.
Ascolta il podcast sul sito di Radio Onda Rossa
Il body rental, il mercato degli informatici spacciati per consulenti, è una rete intricata in cui le aziende scaricano i costi a scapito dei lavoratori.
Il sistema del body rental è una piaga per molti lavoratori del mondo dell’informatica. Come abbiamo raccontato in un articolo precedente, il body rental consiste in un prestito di lavoratori da un’azienda che assume a un’azienda cliente. Il meccanismo non rientra nell’intermediazione illecita di lavoro perché spersonalizza i contratti e affitta capacità invece che persone: sui documenti la dicitura che compare è infatti time and material, tempo e materiale. Il datore di lavoro guadagna dal prestito e il cliente risparmia su contributi e stipendi. Ma lo scenario può essere ancora più complicato.
Nel sistema del body rental non è detto che le aziende siano soltanto due. I rapporti fra consulenti informatici, datori di lavoro e clienti possono essere molteplici, fino a creare una sorta di filiera della consulenza. Ad esempio: si parte da un’azienda A, che assume il consulente e lo presta immediatamente all’azienda B, grande impresa di soluzioni informatiche, che lo manda dall’azienda C, sua cliente.
Leggi l'intervista a uno sviluppatore, il quale ci ha chiesto di restare nell’anonimato, su SenzaFiltro
Gli strumenti utilizzati dallo smart worker (ad esempio pc portatili e smartphone) per prestare la propria attività lavorativa permettono una reperibilità ed una connessione, non solo potenziale ma di fatto, costante e continua. E ciò rischierebbe di compromettere il bilanciamento tra vita professionale e vita privata che è tra i presupposti dell’istituto del lavoro agile. In questo quadro si inserisce il diritto alla disconnessione, in virtù del quale il prestatore di lavoro deve essere protetto da una potenziale perenne connessione.
Facciamo il punto sugli accordi che tutelano questo diritto.
Argomenti
Leggi l'articolo completo su "Agenda Digitale"
Un bellismo documentario in quattro parti sulle nuove forme di lavoro e di sfruttamento rese possibili dalle piattaforme digitali.
Moderatori di contenuti, riders, crowd workers, magazzinieri: tutti lavori uniti dal controllo software sulla propria attività, dalla pressione, dai rischi e dallo stress che ne derivano. Francia, Madagascar, Irlanda... è la globalizzazione.
Un'inchiesta su cosa significa oggi lavorare dentro e per le piattaforme e sulle realtà distopiche che hanno creato.
Episodio 1 Pedalare, ragazzi, pedalare!
Bilel ha 24 anni e tre fratelli. A parte il più piccolo, che va ancora alle medie, lavorano tutti per Uber Eats. Ogni giorno, compreso il week end, iniziano alle nove di mattina e staccano anche alle 4 del mattino per un totale di 400 euro lordi al mese - ammesso che nel frattempo non finiscano sotto a una macchina nel disperato tentativo di vincere un bonus. Come dovremmo chiamarla, flessibilità o schiavitù?
Episodio 2 La trappola dei micro-lavori
Sono tra i 45 e i 90 milioni i micro-lavoratori del web nel mondo. Nathalie vive in Francia, ha 42 anni, due figli ed è separata. Con il suo lavoro quotidiano - rispondere a delle domande idiote - aiuta l’algoritmo di Google a diventare sempre più umano, condannando se stessa a diventare sempre più un robot. In Madagascar, addirittura, le sfruttate del clic sono capaci di lavorare 336 ore al mese alla corte di clienti come Disneyland Paris per ritrovarsi a guadagnare 200 euro. Ecco le loro testimonianze.
Episodio 3 Traumatizzati senza moderazione
Amélie fa la moderatrice di contenuti a Barcellona presso una delle tante aziende che Facebook subappalta per svolgere questo tipo di attività. Chris fa lo stesso a Dublino. Entrambi hanno cominciato a lavorare senza prevedere che essere esposti tutti i giorni al lato peggiore dell’umanità li avrebbe catapultati in un inferno dal quale non sarebbero più riusciti a venire fuori, anche dopo aver cambiato mestiere.
Episodio 4 Il mio padrone non è un algoritmo
I proletari del clic hanno il divieto assoluto di parlare del lavoro che svolgono, persino con i propri famigliari. Eppure la consapevolezza di essere vittime di un traffico di manodopera al limite della legalità li spinge sempre più spesso a rompere il silenzio, a insorgere e a organizzarsi in forme cooperative alternative in grado di tutelare maggiormente i loro diritti.
Sono milioni nel mondo, in Asia, Africa, Sud America, le persone che per pochi centesimi svolgono compiti di intelligenza umana, piccole mansioni che le macchine non sono in grado di fare da sole. Un fenomeno in crescita anche in Europa, per alcuni studiosi una forma estrema di smart working.
È la prima volta che succede in una grande società tecnologica americana, ed è il culmine di un lungo percorso di proteste. Questa settimana 230 lavoratori di Google, che presto sono diventati più di 400, hanno per la prima volta formato un sindacato che accoglie assieme ingegneri, programmatori e i dipendenti a tempo determinato dell’azienda. Il sindacato, che si chiama Alphabet Workers Union (AWU; Alphabet è il nome del conglomerato che comprende Google e YouTube, tra gli altri), è anche uno dei primi in assoluto all’interno dell’industria tecnologica americana, il primo in una delle sue aziende più importanti.
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