La Commissione europea e la Consumer Protection Cooperation Network (CPC) hanno chiesto a Star Stable una serie di informazioni su diversi pratiche che violano la legge sulla protezione dei consumatori. La software house svedese deve rispondere entro un mese e comunicare le misure correttive per evitare sanzioni.
Dopo aver valutato la risposta fornita dall’azienda svedese, la CPC Network ha identificato quattro pratiche che violano la legislazione UE sulla tutela dei consumatori e che potrebbero essere particolarmente dannose per i bambini: appelli diretti ai bambini nelle pubblicità, spingendoli ad acquistare (o convincendo gli adulti ad acquistare per loro) valuta o oggetti in-game, uso di tecniche di pressione, come acquisto a tempo limitato, per influenzare indebitamente i bambini ad acquistare valuta virtuale o contenuti in-game, mancanza di informazioni chiare e trasparenti, adattate ai bambini, sull’acquisto e l’utilizzo di valuta virtuale in-game che porta i consumatori a spendere di più, incapacità dell’azienda di garantire che gli influencer che promuovono i loro prodotti divulghino chiaramente i contenuti commerciali e non influenzino indebitamente i bambini con le loro tecniche di marketing.
Edward Snowden, la gola profonda che nel 2013 ha svelato il programma di sorveglianza di massa organizzato dall’agenzia di spionaggio civile degli Stati Uniti, sosteneva che la macchina della tirannia automatizzata fosse già pronta e che fossimo a un giro di chiave dal suo avviamento. Gli eventi recenti negli Usa sembrano tristemente confermare questa profezia. E in Europa?
“Siate dunque decisi a non servire mai più e sarete liberi. Non voglio che scacciate i tiranni e li buttiate giù dal loro trono; basta che non li sosteniate più, e li vedrete crollare, […] come un colosso a cui sia stato tolto il basamento”. Étienne de La Boétie, “Discorso sulla servitù volontaria”, 1576.
Giorgio vive a Roma ed è un militante a tempo pieno. Fa parte di un sindacato di base della scuola, è segretario del circolo di uno dei tanti partiti della diaspora della sinistra, è femminista, appassionato praticante dell’inclusione dei suoi allievi con disabilità e non. La sua vita, a parte i rari momenti in cui riposa o in cui si dedica ai suoi genitori molto anziani, è dedicata a cercare di ricostruire quel “tessuto collettivo” in cui è cresciuto, negli anni tra il sessantotto e il settantasette, e che lo ha visto prendere parte poi, giovanissimo, al movimento ecologista e nonviolento dei primi anni 80.
La dipendenza europea dall’infrastruttura cloud americana solleva preoccupazioni sulla sicurezza. Il Cloud Act permette agli USA di accedere ai dati globali, mettendo a rischio la privacy e la sicurezza nazionale dell’Europa
Cinque settimane di Donald Trump e gli europei stanno scoprendo per la prima volta quello che Vasco cantava 46 anni fa: non siamo mica gli americani. E non solo non siamo gli americani, improvvisamente scopriamo che i loro interessi non coincidono con i nostri. E non solo i loro interessi non coincidono con i nostri, presto scopriremo che spesso sono opposti.
Indice degli argomenti
L’Europa dipende dalle big tech americane, rischiando la sicurezza nazionale. Servono alternative europee integrate a tutti i livelli dell’infrastruttura digitale. La collaborazione pubblico-privato e l’open source sono fondamentali per costruire l’EuroStack e garantire l’indipendenza tecnologica europea
La dipendenza dell’Europa dalle tecnologie digitali americane e cinesi rappresenta una minaccia significativa per la sua sovranità, sicurezza e competitività economica. Per affrontare questa sfida, è essenziale sviluppare un “EuroStack“, un ecosistema digitale integrato che copra tutti i livelli, dai chip alle applicazioni, garantendo così l’autonomia tecnologica del continente.
L’Eurostack è un’iniziativa proposta dall’Ucl all’Unione Europea per creare un ecosistema tecnologico indipendente e sovrano, con l’obiettivo di ridurre la dipendenza da colossi tecnologici stranieri come Alphabet, Amazon, Apple, Microsoft e altri.
Questo progetto mira a sviluppare infrastrutture digitali completamente europee, tra cui piattaforme cloud, intelligenza artificiale (AI), reti di telecomunicazione e software, in linea con i valori europei di protezione dei dati personali, sovranità digitale e supporto alle imprese locali.
Tutti cercano l' “oro bianco”, il cui impiego cresce del 25% ogni anno. Il “triangolo del litio” in Sudamerica diventa strategico. Anche in Italia parte la caccia
La fame di litio del 2025 passa nuovamente per il Sud America. Ma l’appetito per nuove miniere è tale che la febbre ha raggiunto persino l'Italia. Una corsa sempre più incalzante: ma per farne cosa? In sostanza, veicolare la transizione energetica nei settori più disparati, da quello automobilistico a quello ciclistico, dall’aviazione alla missilistica, al nucleare: per non parlare degli impieghi legati alla salute, con il litio che serve anche come elemento per i più usati antidepressivi al mondo. E poi gli oggetti del quotidiano: smalti, ceramiche, stoviglie, vetri, schermi di computer, tablet, cellulari. E, soprattutto, le batterie delle auto elettriche.
Wired ha intervistato sul tema Michael Schmidt, funzionario della Dera, l’Agenzia tedesca dedicata alle risorse minerarie all'interno dell'Istituto federale per le geoscienze e le risorse naturali, all'ultimo Battery Forum organizzato a Venezia da Alkeemia. Schmidt ha approfondito molti aspetti del crescente interesse per il litio:
“Ci sono diverse ragioni" dice. "La transizione energetica richiederà batterie elettriche e sistemi di accumulo energetici. L'adozione dei veicoli elettrici crescerà perché molti governi hanno richiesto quote specifiche. L'Ue, ad esempio, ha vietato la produzione di nuovi veicoli termici a partire dal 2035. Nelle batterie agli ioni di litio, il metallo non può essere sostituito facilmente senza sacrificare la densità energetica. Ciò è dovuto alle sue proprietà chimiche. Pertanto, la domanda futura sarà determinata da evoluzioni che interessano fattori sia chimici sia normativi”.
Parigi chiede a Bruxelles di agire contro le ingerenze di Musk.
Prima Elon Musk, poi Mark Zuckerberg. Quasi una manovra a tenaglia. Il primo destabilizza l'Europa prendendo di mira capi di Stato e di governo nei suoi post e spinge i movimenti di estrema destra, il secondo - sull'onda di una conversione tardiva al trumpismo - si scaglia contro l'eccessiva regolamentazione dell'Unione Europea ed evoca persino la censura. L'Ue non vuole alzare i toni, pur vedendo le nubi addensarsi all'orizzonte.
Non è il suo stile, diciamo. Eppure tocca marcare il territorio: "La moderazione dei contenuti - nota Bruxelles - non significa censura". "La libertà di espressione è al centro del Digital Services Act (Dsa), che stabilisce le regole per gli intermediari online per contrastare i contenuti illegali, salvaguardando la libertà di espressione e d'informazione online: nessuna disposizione del Dsa obbliga le piattaforme a rimuovere i contenuti leciti", dichiara all'ANSA un portavoce della Commissione Europea in risposta alle accuse del patron di Facebook.
Link all'articolo qui
Una campagna promossa da FSFE
Perché il software creato usando i soldi dei contribuenti non è rilasciato come Software Libero?
Vogliamo che la legge richieda che il software finanziato pubblicamente e sviluppato per il settore pubblico sia reso pubblicamente disponibile sotto una licenza Software Libero/Open Source. Se è denaro pubblico (public money), allora dovrebbe essere pubblico anche il codice sorgente (public code).
Il codice pagato dalle persone dovrebbe essere disponibile alle persone!
Informati sul sito della campagna dove si può firmare la lettera aperta.
Nel suo rapporto Draghi dice che non possiamo avere una forte tutela dei diritti fondamentali e allo stesso tempo aspettarci di promuovere l’innovazione. La critica è rivolta in particolare al GDPR, che protegge i nostri dati personali. Ma è una critica senza fondamento.
Tra le cause della scarsa competitività delle imprese europee nei settori avanzati dell’informatica, oggi chiamata “intelligenza artificiale”, il rapporto Draghi individua la regolamentazione dell’Unione Europea sull’uso dei dati1. Considerata troppo complessa e onerosa rispetto ai sistemi in vigore nei principali paesi leader, come USA e Cina, tale regolamentazione penalizzerebbe i ricercatori e gli innovatori europei impegnati nella competizione globale.
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Il senso è chiaro: non possiamo avere una forte tutela dei diritti fondamentali e allo stesso tempo aspettarci di promuovere l’innovazione. Il trade-off è inevitabile, e prepariamoci ad affrontarlo.
Ma quali sarebbero gli ostacoli che questa “strong ex ante regulatory safeguard” pone all’innovazione e alla competitività delle imprese europee? Il rapporto Draghi ne individua tre: i) il GDPR impone oneri alle imprese europee impegnate nei settori di punta dell’intelligenza artificiale che le penalizzano rispetto ai concorrenti USA e cinesi; ii) l’applicazione frammentaria e incoerente del GDPR crea incertezza sull’uso legittimo dei dati e iii) questa incertezza impedisce, in modo particolare, l’uso efficiente dei dati sanitari per lo sviluppo di strumenti di intelligenza artificiale nel settore medico e farmaceutico.
Verifichiamo se gli argomenti a sostegno di queste tesi possono reggere a un’analisi un po’ approfondita.
La Corte di Giustizia dell'Unione europea ha respinto il ricorso che era stato presentato dal gruppo Alphabet Google contro una maximulta da 2,4 miliardi, che era stata inflitta dall'Antitrust europeo nel 2017 per abuso di posizione dominante nei risultati di ricerca.
Con un comunicato, la Corte Ue spiega di aver così confermato l’ammenda inflitta a Google per aver abusato della propria posizione dominante favorendo il proprio servizio di comparazione di prodotti.
Secondo le informazioni rivelate dalla Commissione Europea dal 2003 al 2014 l’aliquota pagata da Apple in Unione Europea è stata minima. Come riporta Politico parliamo di percentuali che vanno dall’1% allo 0,005%. Gli accordi erano stati firmati con il governo irlandese, dove la Big Tech aveva deciso di mettere la sua sede europea. La Corte di Giustizia Europea non ha ritenuto validi questi accordi: ora Apple deve restituire tutti gli arretrati.
Il tempismo non è dei migliori. A poche ore dal lancio di iPhone 16, Apple si è trovata sulla scrivania dei suoi legali una sentenza attesa da tempo. La Corte di Giustizia Europea ha deciso: Apple dovrà pagare 13,8 miliardi di tasse arretrate in Irlanda. Il motivo? I giudici hanno ritenuto non validi gli accordi fiscali stipulati da Dublino con la Big Tech californiana, accordi che prevedevano una serie di sconti in cambio della scelta dell’Irlanda come sede europea dell’azienda.
Questa decisione arriva da un contenzioso lungo dieci anni. Un contenzioso che a lungo è stato condotto da Margrethe Vestager, Commissaria europea per la concorrenza. È lei a commentare questa decisione della Corte di Giustizia: “È stata una vittoria che mi ha fatto piangere perché è molto importante. È molto importante mostrare ai contribuenti europei che ogni tanto si può fare giustizia fiscale”.
La localizzazione del dato sta diventando sempre di più un "false friend". il 24 giugno Microsoft ha ammesso agli organi di polizia scozzesi che non può garantire che i dati sensibili delle forze dell'ordine rimangano nel Regno Unito.
Può sembrare che processare i dati nei confini territoriali dello Stato sia una garanzia assoluta di sovranità. Purtroppo non è così, intanto perchè banalmente non sempre accade. Ed il caso inglese è emblematico. Ma comunque c’è sempre un dato fattuale che non possiamo più far finta di non vedere. L’operatore cloud extraeuropeo spesso si processa i dati in casa: la sua.
Nella migliore delle ipotesi, tiene fermi i dati degli utenti inattivi, ma gli altri li porta fuori e sono proprio quelli in elaborazione.
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Di quale sovranità stiamo parlando quando reclamiamo la localizzazione dei dati nei confini UE? Lo capiamo facilmente seguendo il filo conduttore che ha portato al rinnovo dell’accordo di data flow UE/US.
Big Tech. Alphabet (che controlla Google), Apple e Meta avrebbero violato il Digital Markets Act. La Commissione europea avvia un’indagine contro le tre aziende
È ancora scontro tra Europa e Big Tech americane, sempre in nome dell’apertura del mercato e del rispetto delle regole della concorrenza. Solo tre settimane dopo la pesante multa da 1,8 miliardi di euro comminata ad Apple da Bruxelles per violazione alla competitività in merito allo streaming musicale, la Commissione europea ha avviato ora un’indagine per non rispetto del Digital Market Act (Dma) – la legge sui mercati digitali entrata in vigore da due settimane – contro tre colossi digitali: Aphabet, che controlla Google, Meta, a cui fanno riferimento i social network Facebook e Instagram, e di nuovo contro il gigante di Cupertino.
Obiettivi e lacune della prima legge al mondo sull'intelligenza artificiale
Con 523 voti favorevoli, 46 contrari e 49 astensioni, dopo un lungo e travagliato iter nel quale talvolta sembrava di essere a un vicolo cieco, ieri il Parlamento europeo ha approvato l’AI Act, la prima regolamentazione al mondo sugli utilizzi dell’intelligenza artificiale e dei sistemi basati su questa tecnologia. Composto di 113 articoli e 12 allegati, il documento si propone di proteggere diritti fondamentali e la sostenibilità ambientale, mantenendo l’obiettivo di facilitare e promuovere la crescita di competitor europei ai colossi statunitensi.
L’articolo 3 è quello che definisce cosa si intende per intelligenza artificiale, ovvero «un sistema basato su macchine progettato per funzionare con diversi livelli di autonomia» e che dalle previsioni e dai contenuti generati «può influenzare ambienti fisici o virtuali». La definizione non si applica quindi ai sistemi di software tradizionali o agli approcci che si basano su regole predefinite.
La Commissione europea ha violato le norme sulla protezione dei dati personali per le istituzioni, il Gdpr, usando Microsoft 365. Lo ha fatto sapere il Garante europeo per la protezione dei dati, a seguito di un’indagine aperta sull’esecutivo europeo, che ha evidenziato come la Commissione non sia stata in grado assicurare un livello adeguato di protezione ai dati trasferiti fuori dall’Unione europea o dallo Spazio economico europeo.
Secondo il Garante, Wojciech Wiewiórowski, la Commissione ha infranto diverse disposizioni del regolamento 1725 del 2018, relativo alla protezione dei dati raccolti e trattati all’interno delle istituzioni, degli organi, degli uffici e delle agenzie dell’Unione. Una violazione che ha origine dallo stesso contratto stipulato tra Microsoft e l’esecutivo, nel quale l’istituzione ha mancato di specificare quali dati siano raccolti e a quale scopo quando si utilizza Microsoft 365, che comprende World, Excel, PowerPoint, Outlook e altri applicativi.
L’Antitrust Ue ha comminato una multa record da 1,8 miliardi di euro ad Apple per violazioni delle regole sulla concorrenza con i servizi di streaming musicale. Una nota dell’esecutivo europeo parla di “condizioni commerciali sleali” praticate dal gruppo. Secondo quanto emerso nell’indagine Apple non consente agli sviluppatori di app di streaming musicale di poter informare gli utenti con iPhone e iPad sui servizi di streaming musicale alternativi e più economici. L’indagine è partita su reclamo di Spotify. L’importo è nettamente più alto delle indiscrezioni di stampa che parlavano di una multa di 500 milioni.
È come il romanzo di Charles Dickens, Racconto di due città. Da una parte l’Italia, che sembra aver capito d’un tratto l’importanza degli investimenti nel settore dei semiconduttori e le Zone Economiche Speciali (Zes) per il Mezzogiorno – ovvero aree geografiche che offrono una serie di incentivi, agevolazioni e semplificazioni amministrative alle imprese che stabiliscano lì la propria sede. E dall’altro l’Irlanda, che ha incassato per più di sessant’anni il dividendo delle Zes e da più di trenta quello della produzione di semiconduttori. Due storie parallele che, almeno nelle aspirazioni della politica italiana, dovrebbero a un certo punto diventare convergenti. Ma non è chiaro con quali tempi.
Leggi l'articolo sul sito "Guerre di rete"
Leggi anche la newsletter di questa settimana curata da Carola Frediani.
In questo numero:
La puntata Inizia con un QWAC! La proposta di regolamento dell'unione europea riguardo all'identità digitale include una sezione (non molto pertinente) sui certificati web qualificati. Nonostante il regolamento non preveda niente a riguardo, l'implementazione che si preannuncia potrebbe essere molto negativa (permettendo indirettamente un grosso controllo governativo sulla crittografia su Internet) e per nulla funzionale.
Si prosegue con un MIAO. Traendo spunto dall'intervento di un nostro compagno, parliamo del calo nell'uso dei social network. Va detto che questo calo è leggero e molto specifico di alcune fasce d'età e parti del mondo. In preda al pensiero desiderante ragioniamo sulle cause del fenomeno.
Diamo qualche dato sul blackout delle telecomunicazioni a Gaza. Un blackout che fa parte della strategia di isolamento perpetrata da Israele.
Notiziole assortite in chiusura.
Se approvata la norma obbligherà produttori e venditori a favorire la riparazione dei dispositivi rispetto alla sostituzione, favorendo modelli di business più sostenibili
La Commissione per il mercato interno e la protezione dei consumatori (Imco) del parlamento europeo si è espressa favorevolmente sul diritto alla riparazione dei dispositivi elettronici. La misura ha come obiettivi quello di far risparmiare denaro ai consumatori favorendo il riutilizzo dei dispositivi ma anche quello di sostenere il Green deal europeo per la riduzione dei rifiuti. Sebbene la legge debba ancora affrontare il voto dell'assemblea plenaria del parlamento e del trilogo, ovvero il negoziato a tre tra Commissione, Consiglio e parlamento, la proposta, di cui si discute da alcuni anni, sembra iniziare a concretizzarsi. Secondo questa proposta i produttori e i professionisti della riparazione dovranno fornire informazioni chiare ai clienti, utilizzando un modulo standard europeo sui servizi di riparazione, consentendo ai consumatori di valutare e confrontare facilmente i diversi servizi disponibili. Inoltre, i venditori saranno tenuti a riparare i prodotti difettosi a un prezzo prefissato, anche al di fuori della garanzia. Questa disposizione, però, riguarda esclusivamente i prodotti che soddisfano le norme di riparabilità stabilite a livello Ue.
Apriamo la trasmissione mandando un estratto dall'ultima puntata di stakkastakka riguardo alla scoperta da parte degli amministratori di un server di chat che le loro comunicazioni erano state intercettate da alcuni mesi. Il tutto scoperto grazie a delle attente analisi tecniche e al pressapochismo degli intercettatori. Il frammento che abbiamo mandato inizia intorno al minuto 20.
Raccontiamo di due leggi che avrebbero come scopo ufficiale la protezione dei bambini dalla pedopornografia, e come risultato reale quello della diminuzione della riservatezza per chiunque.
La prima è quella britannica, una legge effettivamente approvata, che si presenta con un testo molto generico che rimanda molte questioni a successivi regolamenti attuativi; da quanto si capisce, potrebbe applicarsi a praticamente qualsiasi servizio Internet che coinvolga lo scambio di dati tra utenti (diretto o indiretto che sia), mettendo a rischio da Wikipedia ai principali servizi di chat.
La seconda è quella europea, che invece è fortunatamente ancora allo stato di proposta, ed è nota con il nome di ChatControl. Anche se qui non c'è un testo definitivo, è interessante guardare la modalità con cui si sta discutendo, ovvero un lobbying abbastanza esplicito da sedicenti associazioni no-profit per la difesa dei diritti dei minori, che di fatto rappresentano gli interessi economici di aziende che operano nel settore della sorveglianza.
Passiamo così alle notiziole:
In settimana il Parlamento Europeo dovrebbe votare la direttiva ChatControl. Una legge stupida e inutile, che vuole abolire la segretezza delle telecomunicazioni con la solita scusa di "proteggere i bambini".
Ascolta il podcast della puntata di "DataKnightmare: L'algoritmico è politico"