Si conosce il numero di ricerche ogni mille reati, di molto maggiore rispetto ad altri Paesi europei. Avere un dibattito pubblico sull’argomento è impossibile: i dati sono incompleti
In Italia non è consentito sapere come e se funziona l’infrastruttura per il riconoscimento dei volti in uso alle forze dell’ordine. È una conclusione inevitabile, quella tratta da IrpiMedia e StraLi – associazione non profit che promuove la tutela dei diritti attraverso il sistema giudiziario – da tempo impegnate in un braccio di ferro burocratico con il ministero dell’Interno, restio a fornire dati e informazioni richieste tramite l’accesso agli atti generalizzato. Questo strumento dovrebbe garantire ai cittadini la possibilità di accedere a documenti e informazioni in possesso della pubblica amministrazione.
Tuttavia a dire del Viminale, oggi retto dal ministro Matteo Piantedosi, ne sarebbero escluse le statistiche relative all’efficacia del riconoscimento facciale: informazioni aggregate che non possono certo minare l’andamento delle indagini in corso. Dall’altra, proprio queste informazioni sono tasselli indispensabili a ricostruire lo sfaccettato puzzle delle tecnologie di cui fa uso la sorveglianza di Stato in Italia e che per ora è destinato a rimanere incompleto. Leggi la storia
Stati uniti. Nebraska, incriminate una madre e la figlia adolescente. Dalle conversazioni su Messenger emerge che la ragazza ha preso un farmaco abortivo
Messaggi privati, registrazioni audio e video, immagini: un totale di 300 megabyte di dati relativi agli account di una madre e sua figlia adolescente – Jessica e Celeste Burgess – consegnati da Facebook alle forze dell’ordine del Nebraska in un caso di presunto aborto.