Puntata di domenica 8 dicembre. La prima parte della puntata è dedicata alle variegate malefatte dei soliti noti: Google e Meta.
Prima parliamo della situazione di Google con l'antitrust, che vede avvicinarsi il verdetto anche per quanto riguarda il settore pubblicità. Avevamo già parlato della questione del motore di ricerca, ma questa è un'altra storia.
Passiamo poi ai legami tra grandi aziende e militarismo:
Chiudiamo infine rimandando un audio andato in onda recentemente su Data Center, consumo di energia e di acqua.
Un articolo scientifico di daniela tafani, prezioso, ricco di spunti di riflessioni e di verità tanto evidenti quanto nascoste.
Il testo demistifica le "credenze" relative alla presunta intelligenza dei software probabilistici e ristabilisce dei punti fermi sulla non neutralità del software, anche quando si tratta di cosidetta Intelligenza Artificiale.
L'articolo dimostra perché l'introduzione dell'intelligenza artificiale nella scuola e nelle univeristà sia un problema per i processi di apprendimento e insegnamento. Tuttavia si tratta di una tendenza già presente: la trasformazione dell'insegnamento in addestramento degli studenti per andare incontro alle esigenze del mondo aziendale.
Indice
I raccapriccianti atti di terrorismo avvenuti nei giorni scorsi in Libano attraverso cercapersone e ricetrasmittenti sono una eclatante manifestazione di uno degli aspetti meno compresi della rivoluzione digitale.
Relativamente poche persone, infatti, hanno messo a fuoco il fatto il mondo si sta computerizzando, processo che sta causando, oltre al resto, alterazioni profonde nei rapporti con l’ambiente in cui viviamo, oggetti inclusi.
La prima fase della computerizzazione del mondo è stata palese perché è stata semplicemente la fase della diffusione dei computer tradizionali, dai cosiddetti mainframe agli attuali desktop e notebook. Negli ultimi 20-30 anni, però, la miniaturizzazione dei componenti e il drastico calo dei costi (anche della connessione a Internet) ha avviato una seconda fase, meno visibile e soprattutto meno compresa, che sta portando a computerizzare un numero crescente di esseri umani, di spazi e di cose.
Le emissioni dei data center interni di Google, Microsoft, Meta e Apple potrebbero essere 7,62 volte superiori al calcolo ufficiale
Negli ultimi anni le big tech hanno fatto grandi dichiarazioni sulle emissioni di gas serra. Ma poiché l'ascesa dell'intelligenza artificiale crea richieste energetiche sempre maggiori, sta diventando difficile per l'industria nascondere i costi reali dei data center che alimentano la questa tecnologia.
Secondo un'analisi del Guardian, dal 2020 al 2022 le emissioni reali dei centri dati "interni" o di proprietà delle aziende di Google, Microsoft, Meta e Apple saranno probabilmente circa il 662% - o 7,62 volte - più alte di quanto dichiarato ufficialmente.
TECNOLOGIE DEL POTERE E TECNOLOGIE CONVIVIALI. NON DIPENDE (SOLO) DA TE. Il 25 giugno 2024 alle 19 presso Vivero, luogo di quartiere a via Antonio Raimondi 37, Roma (zona pigneto)
All'interno di un ciclo di 3 appuntamenti, si svolgerà l'incontro "Tecnologie del potere e tecnologie conviviali. Non dipende (solo) da te"
Israele ha utilizzato gli algoritmi cosiddetti di Intelligenza Artificiale per selezionare e localizzare le persone da colpire deresponsabilizzando le scelte degli umani.
Quali sono le relazioni tra l'apparato militare e l'industria del digitale?
E' possibile utilizzare le tecnologie digitali delle Big tech per fini diversi da quelli per cui sono state progettate?
Esistono tecnologie conviviali progettate per un uso sociale e comunitario?
Parliamo di Lavender e degli alberi della rete a Gaza con Dario Guarascio, docente di Economia e Diritto presso l’Università degli Studi La Sapienza di Roma, Manolo Lupichini e Graffio
Ecco la classifica - con l'inserimenti di Big Tech al suo interno - dei Paesi che inquinano e consumano più energia al mondo
Una domanda che, sotto certi versi, può sembrare assurda ma che – di fatti – non lo è assolutamente. Basta dare una letta all’ultimo rapporto di Karma Metrix per rendersi conto che Big Tech (ovvero il gruppo delle maggiori aziende IT occidentali) consuma e inquina quanto uno stato sviluppato. La risposta a entrambe le domande – sulle emissioni di CO2 e sull’energia consumata per le proprie attività – la troviamo ben espressa nel documento, in grafici di vario tipo che aiutano a capire – a colpo d’occhio – il peso sul mondo di Big Tech in questi termini.
In occasione della giornata dell'Europa, Dataknightmare ci ricorda che Digital Markets Act ed ENISA esistono per difendere gli interessi degli Europei contro quelli delle Big Tech e degli USA.
Un report della senatrice americana Elizabeth Warren mostra come le Big Tech manovrino per contrastare le legislazioni antitrust e per deviare gli accordi commerciali in senso favorevole all'oligopolio.
Che cosa dice la senatrice Warren? Poche semplici cose.
In sostanza i rappresentanti del Dipartimento del Comercio Americano, debitamente imboccati da Big Tech, si sono fatti portavoce delle istanze delle piattaforme contro il Digital Markets Act, la legge europea a difesa della concorrenza e del libero mercato contro la posizione dominante delle piattaforme.
Già che ci siamo ricordiamoci anche che la sola Google spende 6 milioni l'anno per fare lobbismo a Bruxelles.
L'ENISA, l'Agenzia Europea per la Ciber Sicurezza, ha presentato una bozza di regolamento secondo il quale il solo modo con cui i fornitori cloud possono ottenere una certificazione europea di sicurezza è di entrare in partecipazione con controparti europee.
Che cosa significa? Significa che Google, Amazon e Microsoft per potere avere la certificazione europea di sicurezza necessaria a fornire servizi cloud sul mercato unico dovrebbero creare delle partecipate con aziende europee.
E queste aziende non sarebbero dei prestanome come nel caso del polo strategico nazionale di Italica memoria.
Tutt'altro, secondo la proposta dell'ENISA, il socio non europeo potrebbe avere solo una quota di minoranza, tutti i dati dovrebbero essere conservati sul territorio europeo e la legislazione comunitaria avrebbe precedenza su qualsiasi altra.
Tutto questo nelle parole dell'ENISA, cito, per mitigare il rischio di ingerenze di potenze extra UE che compromettano i regolamenti, le norme e i valori della UE.
Se qualcuno sta pensando a Stati Uniti e Cloud Act sta pensando bene.
Grandi e piccole imprese digitali pagano il prezzo della crisi finanziaria. Ma il ciclo tecnologico è pronto a ripartire con le prime applicazioni su larga scala delle tecnologie di intelligenza artificiale. Sarà la regolamentazione, figlia di una politica che inizia a occuparsi del digitale, a far capire che la crescita non è infinita.
Intervista con l'imprenditore e informatico Stefano Quintarelli
Uno dei fenomeni che hanno segnato il mondo dell’industria tecnologica mondiale nel 2022 è sicuramente l’ondata di licenziamenti dei dipendenti delle Big Tech.
Con questo termine – almeno in questo articolo – intendiamo generalmente le grandi piattaforme digitali basate negli Stati Uniti: i cosiddetti GAFAM (Google, Amazon, Facebook o Meta, Apple e Microsoft), Twitter, ma anche altri attori del settore, come Uber o Spotify. Sotto questa espressione si raggruppano solitamente le aziende tecnologiche leader nei rispettivi settori, con alte valutazioni di mercato e una significativa influenza sullo sviluppo dell’industria.
Dopo un momento di crescita che pareva inarrestabile, culminato durante la pandemia del 2020 – 2021, aziende come Google, Facebook, Twitter, Microsoft hanno iniziato a lasciare a casa i loro lavoratori, a blocchi di centinaia o di migliaia, o a interrompere le assunzioni.
Tra il 2019 e il 2021 le 25 maggiori società tecnologiche non avrebbero pagato circa 36,3 miliardi di euro di imposte. Quello dell'evasione fiscale da parte delle Big Tech è un problema che si può risolvere? Se sì, come?
La procura di Milano ha aperto un fascicolo per un omesso versamento dell’IVA da parte di Meta, l’azienda che gestisce Facebook, Instagram e WhatsApp, che ammonta a circa 870 milioni di euro.
La notizia è stata riportata per la prima volta dal Fatto Quotidiano, che mercoledì ha scritto che l’indagine è stata avviata dalla Procura europea e che è passata poi «per competenza» alla procura di Milano. Il problema contestato a Meta è che le piattaforme che gestisce consentono agli utenti di iscriversi gratuitamente ma allo stesso tempo la società ottiene i loro dati personali che consentono di generare profitti: si tratta di una sorta di “merce di scambio” e di conseguenza Meta dovrebbe versare l’IVA su questo scambio. La cifra di 870 milioni di euro risulta da questo mancato pagamento tra il 2015 e il 2021.
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