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Ecco la classifica - con l'inserimenti di Big Tech al suo interno - dei Paesi che inquinano e consumano più energia al mondo

Una domanda che, sotto certi versi, può sembrare assurda ma che – di fatti – non lo è assolutamente. Basta dare una letta all’ultimo rapporto di Karma Metrix per rendersi conto che Big Tech (ovvero il gruppo delle maggiori aziende IT occidentali) consuma e inquina quanto uno stato sviluppato. La risposta a entrambe le domande – sulle emissioni di CO2 e sull’energia consumata per le proprie attività – la troviamo ben espressa nel documento, in grafici di vario tipo che aiutano a capire – a colpo d’occhio – il peso sul mondo di Big Tech in questi termini.

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In occasione della giornata dell'Europa, Dataknightmare ci ricorda che Digital Markets Act ed ENISA esistono per difendere gli interessi degli Europei contro quelli delle Big Tech e degli USA.

Un report della senatrice americana Elizabeth Warren mostra come le Big Tech manovrino per contrastare le legislazioni antitrust e per deviare gli accordi commerciali in senso favorevole all'oligopolio.
Che cosa dice la senatrice Warren? Poche semplici cose.

  • Uno, che Big Tech si fa in quattro per assumere ex dirigenti delle autorità di controllo del mercato.
  • Due, che poi questi ex dirigenti pubblici diventano non solo lobbisti, ma esperti di riferimento per la pubblica amministrazione e utilizzano conoscenze e accesso per spingere gli interessi delle piattaforme al riparo da occhi indiscreti.
  • E tre, che i lobbisti di Big Tech finiscono anche per avere un ruolo attivo durante negoziati commerciali internazionali.

In sostanza i rappresentanti del Dipartimento del Comercio Americano, debitamente imboccati da Big Tech, si sono fatti portavoce delle istanze delle piattaforme contro il Digital Markets Act, la legge europea a difesa della concorrenza e del libero mercato contro la posizione dominante delle piattaforme.
Già che ci siamo ricordiamoci anche che la sola Google spende 6 milioni l'anno per fare lobbismo a Bruxelles.

L'ENISA, l'Agenzia Europea per la Ciber Sicurezza, ha presentato una bozza di regolamento secondo il quale il solo modo con cui i fornitori cloud possono ottenere una certificazione europea di sicurezza è di entrare in partecipazione con controparti europee.
Che cosa significa? Significa che Google, Amazon e Microsoft per potere avere la certificazione europea di sicurezza necessaria a fornire servizi cloud sul mercato unico dovrebbero creare delle partecipate con aziende europee. E queste aziende non sarebbero dei prestanome come nel caso del polo strategico nazionale di Italica memoria. Tutt'altro, secondo la proposta dell'ENISA, il socio non europeo potrebbe avere solo una quota di minoranza, tutti i dati dovrebbero essere conservati sul territorio europeo e la legislazione comunitaria avrebbe precedenza su qualsiasi altra.

Tutto questo nelle parole dell'ENISA, cito, per mitigare il rischio di ingerenze di potenze extra UE che compromettano i regolamenti, le norme e i valori della UE.

Se qualcuno sta pensando a Stati Uniti e Cloud Act sta pensando bene.

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Grandi e piccole imprese digitali pagano il prezzo della crisi finanziaria. Ma il ciclo tecnologico è pronto a ripartire con le prime applicazioni su larga scala delle tecnologie di intelligenza artificiale. Sarà la regolamentazione, figlia di una politica che inizia a occuparsi del digitale, a far capire che la crescita non è infinita.

Intervista con l'imprenditore e informatico Stefano Quintarelli

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Uno dei fenomeni che hanno segnato il mondo dell’industria tecnologica mondiale nel 2022 è sicuramente l’ondata di licenziamenti dei dipendenti delle Big Tech.
Con questo termine – almeno in questo articolo – intendiamo generalmente le grandi piattaforme digitali basate negli Stati Uniti: i cosiddetti GAFAM (Google, Amazon, Facebook o Meta, Apple e Microsoft), Twitter, ma anche altri attori del settore, come Uber o Spotify. Sotto questa espressione si raggruppano solitamente le aziende tecnologiche leader nei rispettivi settori, con alte valutazioni di mercato e una significativa influenza sullo sviluppo dell’industria.

Dopo un momento di crescita che pareva inarrestabile, culminato durante la pandemia del 2020 – 2021, aziende come Google, Facebook, Twitter, Microsoft hanno iniziato a lasciare a casa i loro lavoratori, a blocchi di centinaia o di migliaia, o a interrompere le assunzioni.

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Tra il 2019 e il 2021 le 25 maggiori società tecnologiche non avrebbero pagato circa 36,3 miliardi di euro di imposte. Quello dell'evasione fiscale da parte delle Big Tech è un problema che si può risolvere? Se sì, come?

La procura di Milano ha aperto un fascicolo per un omesso versamento dell’IVA da parte di Meta, l’azienda che gestisce Facebook, Instagram e WhatsApp, che ammonta a circa 870 milioni di euro.

La notizia è stata riportata per la prima volta dal Fatto Quotidiano, che mercoledì ha scritto che l’indagine è stata avviata dalla Procura europea e che è passata poi «per competenza» alla procura di Milano. Il problema contestato a Meta è che le piattaforme che gestisce consentono agli utenti di iscriversi gratuitamente ma allo stesso tempo la società ottiene i loro dati personali che consentono di generare profitti: si tratta di una sorta di “merce di scambio” e di conseguenza Meta dovrebbe versare l’IVA su questo scambio. La cifra di 870 milioni di euro risulta da questo mancato pagamento tra il 2015 e il 2021.

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