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Google vuole primeggiare nell’AI e aumenta consumi ed emissioni

Ci hanno raccontato che buona parte dei consumi energetici delle grandi aziende tecnologiche sono ormai soddisfatti da fonti energetiche rinnovabili e che comunque, per compensare l’impego sempre massiccio dei combustibili fossili, stanno aumentando anche l’utilizzo di tecnologie green per ridurre l’impatto ambientale e rimuovere CO2.

È sicuramente un fatto, qualcosa sta accadendo, il problema è che la crescita esponenziale del traffico di dati internet globale e l’accelerazione dello sviluppo di sempre nuovi modelli di intelligenza artificiale (AI) spostano sempre in avanti l’asticella dei consumi energetici.

In sostanza, le rinnovabili non riescono a stare dietro alla domanda di energia di questi giganti. Secondo un articolo di qz.com, infatti, la stessa Google nel suo “Environmental Report 2024” ha ammesso che le sue emissioni di carbonio sono aumentate del 50% rispetto al 2019 e questo nonostante gli investimenti in fonti pulite.

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L’IA è una divoratrice insaziabile di energia: basti pensare che, per poter funzionare, da sola riesce a immagazzinare il due per cento dell’elettricità consumata dall’intero pianeta. Lasciandosi alle spalle una considerevole impronta di carbonio dal momento che è alimentata da energia elettrica non rinnovabile e consuma milioni di litri di acqua dolce. È stato calcolato che, entro il 2027, la sua sete potrebbe arrivare, entro i prossimi due anni, a prosciugare il pianeta di 6,6 miliardi di metri cubi di acqua potabile; per non parlare degli impatti costanti derivanti dalla costruzione e manutenzione delle macchine.

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La puntata mensile dedicata ai saggi ha avuto come argomento la tecnologia. Lo abbiamo fatto parlando di e con:

  • ▷ Contro lo smartphone - Per una tecnologia più democratica di Juan Carlos De Martin (add editore)
  • ▷ L’intelligenza inesistente - Un approccio conviviale all'intelligenza artificiale di Stefano Borroni Barale (Altraeconomia)
  • ▷ Le emissioni segrete. L'impatto ambientale dell'universo digitale di Giovanna Sissa (Il Mulino)

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Secondo The Global E-Waste Monitor, ogni persona genera mediamente 7,5 kg di rifiuti elettronici (e-waste) ogni anno a livello globale; di questa montagna di materiali preziosi (circa 60 milioni di tonnellate), meno del 50% viene raccolta e riciclata correttamente.

Inoltre, sottolinea l’agenzia, anche nel caso di una corretta gestione degli e-waste, qualora il contenuto di oro, argento e platino risultasse troppo basso per rendere conveniente il suo recupero, i chip verrebbero triturati e interrati o bruciati.

Circa l’8% dei rifiuti legati all’elettronica è composto da PCB (Printed Circuit Board, semiconduttori stampati), che da oltre 70 anni sono costruiti (nella maggior parte dei casi) su laminati epossidico in fibra di vetro, solitamente con l’aggiunta di un inquinante organico persistente come ritardante di fiamma.

Nell’ultimo decennio, però, la ricerca del settore sta studiando le potenzialità di impiego nell’elettronica di materiali naturali, riciclabili e biodegradabili, come la canapa.

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La fisica Giovanna Sissa chiarisce come l'universo digitale, in apparenza immateriale, mantenga un profondo legame fisico con la materia e generi un forte impatto in termini di emissioni di gas serra, consumi di energia e sfruttamento di risorse non rinnovabili

“È possibile una transizione digitale che sia anche ecologica?”. È da questo interrogativo che nascono le tesi esposte da Giovanna Sissa nel nuovo libro Le emissioni segrete, recentemente pubblicato da il Mulino. Insegnante di Sostenibilità ambientale dell’ICT al Dottorato di ricerca STIET dell’Università di Genova, Sissa sostiene che la risposta alla domanda di cui sopra, “può essere affermativa solo se impariamo a comprendere i costi ambientali dei sistemi digitali, intelligenti o meno, che permeano la vita contemporanea e quelli di ciò che ne consente il funzionamento: le infrastrutture di telecomunicazione e i data center”.
Secondo la studiosa, “la consuetudine con gli oggetti digitali ci rende insensibili al loro impatto in termini di emissioni di gas serra, consumi di energia elettrica, sfruttamento di risorse non rinnovabili e produzione di rifiuti elettronici, impronte che spesso restano ‘segrete’, invisibili ai nostri occhi, perché il settore digitale non si è mai preoccupato davvero di evitarle e ridurle”.

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Quando si parla di sviluppo di intelligenza artificiale si sottovaluta l'impatto ambientale di un processo fortemente energivoro. E l'IA è al centro delle attenzioni dell'edizione 2024 del Digital Cleanup Day, l'iniziativa che dal 2020 ci invita a ripulire la nostra vita digitale. Ecco alcuni pratici consigli da seguire.

In un mondo sempre più connesso, internet è diventato uno strumento indispensabile che influisce su quasi ogni aspetto della vita quotidiana: dall’accesso istantaneo alle informazioni alla capacità di mantenere in contatto persone e comunità su scala globale, la sua importanza non può essere sottovalutata. Le aziende operano online, le relazioni si formano e si mantengono attraverso reti sociali e l’istruzione si sviluppa in ambienti virtuali, rendendo Internet un pilastro della società moderna.

Tuttavia la digitalizzazione su vasta scala porta con sé sfide ambientali significative: i data center che alimentano la nostra insaziabile sete di (conservare i) dati consumano enormi quantità di energia (spesso alimentata da fonti fossili) contribuendo, quindi, all’inquinamento e ai cambiamenti climatici. Uno studio pubblicato nel 2017 – divulgato dal Guardian – ha stimato che l’industria ICT potrà arrivare ad utilizzare fino al 20% dell’elettricità mondiale entro il 2025 con un impatto ambientale paragonabile a quello dell’intera flotta aerea.

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I rifiuti da apparecchiature elettriche ed elettroniche (Raee) sono tra le principali “miniere urbane” a disposizione dell’Italia, dalle quali recuperare preziose materie prime senza toglierle all’ambiente naturale.

Eppure la raccolta di questa frazione di rifiuti continua ad affondare. Il più recente rapporto nazionale elaborato dal Centro di coordinamento Raee documenta un tasso di raccolta pari al 34,01% contro un obiettivo europeo del 65%. Si tratta di dati riferiti al 2022, ma per il 2023 Erion Weee – il consorzio del sistema Erion che gestisce oltre il 60% dei Raee domestici in Italia – anticipa un dato in peggioramento.

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Windows 11 ha imposto requisiti hardware molto più severi rispetto al predecessore e, secondo diverse stime, la fine del supporto di Windows 10 potrebbe aumentare i rifiuti RAEE in maniera significativa, a partire da ottobre 2025.

I vecchi PC, tuttavia, spesso non meritano di essere messi da parte: ancora funzionanti, possono continuare ad assolvere funzioni di qualche utilità ancora oggi. Le migliori distro Linux per i PC datati possono trasformare macchine ormai legate al passato in dispositivi efficienti e funzionanti, riportandoli a una seconda giovinezza. È questo lo spirito con cui vogliamo offrire una serie di suggerimenti di distribuzioni Linux per mantenere vivi computer che ormai sentono il peso del tempo.

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È la prima volta che i ricercatori calcolano le emissioni di anidride carbonica causate dall’utilizzo di un modello di intelligenza artificiale per diversi compiti. OpenAI, Microsoft, Google… quando soluzioni AI più green?

Ogni volta che usiamo l’AI per generare un’immagine, scrivere un’e-mail o fare una domanda a un chatbot, ha un costo per il pianeta.

Infatti, generare un’immagine utilizzando un potente modello di intelligenza artificiale richiede tanta energia quanto caricare completamente il tuo smartphone, secondo lo studio dei ricercatori della startup di intelligenza artificiale Hugging Face e della Carnegie Mellon University.

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Deforestazione, centrali a carbone, interi villaggi sgomberati con la forza, scarti chimici nelle acque, operai bruciati vivi, schiavi bambini, fauna e flora devastate, incidenti mortali. Sono il prezzo nascosto dell’auto elettrica.

La rivoluzione verde, infatti, come tutte le rivoluzioni, non è un pranzo di gala. La Commissione Europea ha deciso che dal 2035 si potranno vendere solo veicoli elettrici. Bisogna abbattere a tutti i costi le emissioni di Co2 per combattere l’effetto serra. Ma se la transizione avverrà senza tenere in conto i costi umani e ambientali, rischia di essere solo una tinta di verde che copre ogni sorta di abusi.

La parte più importante di un’auto elettrica è la sua batteria: 500 chili di minerali tra cui nichel, litio, manganese, cobalto, che viaggiano fino a 50.000 miglia nautiche prima di raggiungere la fabbrica in cui saranno trasformati in celle. Non proprio a Km zero. E d’altronde i fornitori di materie prime per ogni singola casa automobilistica sono centinaia: è difficile sapere da dove arrivano e dove finiscono i minerali per i veicoli elettrici, nemmeno il congresso americano è riuscito a farli mappare. Report ha deciso di indagare sulla filiera del nichel, un minerale che costituisce il 10% circa del peso delle batterie più performanti, dai 39 ai 43 chili per auto. La troupe di Report è finita in Indonesia dove ha potuto documentare quanto poco pulita è la filiera e quanto incide sui diritti umani più basici, a partire dall'accesso all'acqua. Anche nella vicina Germania, la fabbrica di Tesla è al centro di infuocate polemiche per il suo impatto ambientale.

Guarda l'inchiesta di Giulio Valesini e Cataldo Ciccolella sul sito di Report

Se approvata la norma obbligherà produttori e venditori a favorire la riparazione dei dispositivi rispetto alla sostituzione, favorendo modelli di business più sostenibili

La Commissione per il mercato interno e la protezione dei consumatori (Imco) del parlamento europeo si è espressa favorevolmente sul diritto alla riparazione dei dispositivi elettronici. La misura ha come obiettivi quello di far risparmiare denaro ai consumatori favorendo il riutilizzo dei dispositivi ma anche quello di sostenere il Green deal europeo per la riduzione dei rifiuti. Sebbene la legge debba ancora affrontare il voto dell'assemblea plenaria del parlamento e del trilogo, ovvero il negoziato a tre tra Commissione, Consiglio e parlamento, la proposta, di cui si discute da alcuni anni, sembra iniziare a concretizzarsi. Secondo questa proposta i produttori e i professionisti della riparazione dovranno fornire informazioni chiare ai clienti, utilizzando un modulo standard europeo sui servizi di riparazione, consentendo ai consumatori di valutare e confrontare facilmente i diversi servizi disponibili. Inoltre, i venditori saranno tenuti a riparare i prodotti difettosi a un prezzo prefissato, anche al di fuori della garanzia. Questa disposizione, però, riguarda esclusivamente i prodotti che soddisfano le norme di riparabilità stabilite a livello Ue.

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Approvato emendamento della maggioranza al Ddl Concorrenza in Commissione IX al Senato per innalzare i limiti elettromagnetici da 6 a 15 v/m. Ma l'iter parlamentare è ancora lungo. Proteste dell'opposizione di Legambiente e consumatori.

Approvato questa mattina in IX Commissione del Senato un emendamento della maggioranza al Ddl Concorrenza che prevede l’innalzamento dei limiti elettromagnetici da 6 v/m a 15 v/m. L’emendamento, a firma di Pogliese, Amidei, Fellucchi e Maffoni, è stato votato fra le proteste dell’opposizione. Esulta il ministro del Made in Italy Adolfo Urso.

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Il lavoro a distanza permette di evitare l’emissione di circa 600 chilogrammi di anidride carbonica all’anno per lavoratore[1] (-40%)[2] con notevoli risparmi in termini di tempo (circa 150 ore), distanza percorsa (3.500 km) e carburante (260 litri di benzina o 237 litri di gasolio). È quanto emerge dallo studio ENEA sull’impatto ambientale dello smart working a Roma, Torino, Bologna e Trento nel quadriennio 2015-2018, pubblicato sulla rivista internazionale Applied Sciences.

“Nel nostro Paese circa una persona su due possiede un’autovettura, vale a dire 666 auto ogni 1000 abitanti, un dato che pone l’Italia al secondo posto in Europa per il più alto tasso di motorizzazione, dopo il Lussemburgo”, spiega Roberta Roberto, ricercatrice ENEA del Dipartimento Tecnologie energetiche e fonti rinnovabili e co-autrice dell’indagine, insieme ai colleghi di altri settori dell’Agenzia Bruna Felici, Alessandro Zini e Marco Rao

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Nota: affinché sia possibile avere un'idea più precisa della riduzione di emissioni di CO2, sarebbe interessante conoscere di quanto aumentano le emissioni per mettere a disposizione dei lavoratori in smart working gli strumenti necessari. Per esempio quanto CO2 emettono i server per le videoconferneza usati in Smart Working?

Puntata quasi monografica: a partire dalla recente entrata in vigore di una legge che permette il riutilizzo di rifiuti elettronici, parliamo non solo della legge e dei regolamenti che prescrive, ma anche del modo in cui questi ed altri regolamenti vengono creati, degli enti che scrivono i testi e di quali settori economici e sociali vengono da essi rappresentati.

Per concludere, una singola notiziola: gli ultimi iPhone sono più riparabili, sì, ma solo per Apple stessa. Tutto merito del parts-pairing.

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Nella provincia argentina di Jujuy . Comunità da oltre un mese in lotta contro la riforma "estrattivista" della Costituzione locale imposta senza referendum. La sfida per l’oro bianco tra Cina, Usa e Ue nel triangolo sudamericano in cui si concentrano il 65% delle riserve mondiali. E i costi reali della presunta transizione verde

Mentre a Bruxelles i 60 rappresentanti dell’Unione europea e della Celac inneggiavano alla transizione ecologica a cui aprirebbe la strada la cooperazione biregionale in materia di approvvigionamento del litio e di altre materie prime essenziali, la popolazione della provincia argentina di Jujuy avrebbe avuto molto da dire sui costi concreti di quella presunta transizione verde.

[...]

A partire dall'approvazione della riforma la repressione, scatenata con inaudita violenza già dal giorno successivo, non ha fatto che aumentare – senza peraltro riuscire a fermare le proteste – combinandosi con una persecuzione giudiziaria che non sta risparmiando nessuno: manifestanti, rappresentanti del popoli indigeni, sindacalisti, docenti, avvocati.

«Tutto questo è per il litio», denunciano le comunità indigene in resistenza contro il modello estrattivista perseguito dal governatore Morales, in piena corsa per le primarie della destra in coppia con il capo di governo di Buenos Aires Horacio Rodríguez Larreta, che lo ha voluto come suo vice.

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Certo vi sorprenderà scoprire che le cosiddette Terre Rare, un gruppo di 17 elementi chimici che prende il nome dall’inglese Rare Earth Elements, rare non lo sono affatto: il cerio è presente tanto quanto il rame e i due elementi più rari della serie (tulio e lutezio) sono 200 volte più abbondanti dell’oro. Il problema è che estrarre questi metalli tanto indispensabili alle tecnologie – fibre ottiche, auto ibride, pannelli solari, computer, touchscreen, ma anche radar militari – è un processo complesso e molto difficile.
Solo per fare un esempio, servono tremendi solventi. Tremendi per chi? Qui, come sempre, arrivano le note dolenti, anzi dolorrosissime. Ce le racconta in questo articolo, tratto da Valori, in modo molto chiaro Anna Radice Fossati. Qui anticipiamo solo che la Cina che produce circa il 60% delle terre rare mondiali, ne lavora e raffina il 90% e detiene il 37% circa delle riserve mondiali. Però ha pensato bene di “esternalizzzare” il problema a Myanmar, la terra insanguinata dai vecchi generali birmani

Leggi l'artico sul sito di Comune Info

Ecco la classifica - con l'inserimenti di Big Tech al suo interno - dei Paesi che inquinano e consumano più energia al mondo

Una domanda che, sotto certi versi, può sembrare assurda ma che – di fatti – non lo è assolutamente. Basta dare una letta all’ultimo rapporto di Karma Metrix per rendersi conto che Big Tech (ovvero il gruppo delle maggiori aziende IT occidentali) consuma e inquina quanto uno stato sviluppato. La risposta a entrambe le domande – sulle emissioni di CO2 e sull’energia consumata per le proprie attività – la troviamo ben espressa nel documento, in grafici di vario tipo che aiutano a capire – a colpo d’occhio – il peso sul mondo di Big Tech in questi termini.

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Intervista. L’architetta che insegna a Eindhoven, specialista del lavoro automatizzato, racconta la sua ricerca, attraverso la quale propone nuove prospettive di osservazione sul complesso rapporto tra lavoro e tecnologia

Negli ultimi anni i data center sono diventati un importante area di investimento. Le previsioni indicano una forte crescita nella produzione di dati, che dovrebbero crescere del 23% all’anno dal 2020 al 2025, raggiungendo i 180 zettabyte nel 2025, secondo il Global DataSphere di IDC.
La società di consulenza Garnter stima che la domanda di storage dei dati potrebbe potenzialmente salire al 50% dal 2020 al 2030. Crescita che sta superando le possibilità delle odierne soluzioni di archiviazione, che porterà a una potenziale insufficienza.
Gli sviluppi dell’IA, dell’Internet delle cose e del Metaverso aggraveranno il problema. La più grande società di servizi immobiliari commerciali a livello globale, CBRE ha aperto una divisione per i data center, lo stesso hanno fatto aziende di architettura e ingegneria come Corgan, HDR, Gensler, AECOM e Arup.
È opportuno ricordare che i data center rappresentano oltre il 2% delle emissioni globali di carbonio, l’equivalente del settore aereo. Senza miglioramenti nell’efficienza energetica, il consumo di elettricità dei data center potrebbe aumentare dal 3% al 13% del consumo totale di elettricità entro il 2030.

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Nel 2022 il mercato dei computer e degli smartphone ricondizionati, insieme, vale circa 70 miliardi di dollari. Si tratta di un circuito globale fatto da consumatori che vendono i propri dispositivi quando hanno concluso il loro primo ciclo di vita, di riparatori in grado di rimetterli in sesto, di rivenditori specializzati in dispositivi ricondizionati (ovvero riparati e riportati al massimo delle possibilità alle condizioni di fabbrica) e, infine, di consumatori interessati a smartphone e laptop di seconda mano ma rimessi a nuovo.

Questo meccanismo funziona dal punto di vista economico e permette a oggetti che hanno perso valore nei mercati ufficiali di diventare nuovamente dei prodotti a tutti gli effetti. Inoltre, permette ai consumatori di acquistare dispositivi tecnologici performanti a prezzi contenuti. Funziona anche dal punto di vista ambientale, contribuendo ad abbattere l’impatto di un mercato che genera moltissime emissioni e i cui prodotti sono ormai parte integrante del tessuto socio-economico umano.

L'associazione americana PIRG ha pubblicato un'analisi e scheda di come diversi produttori di laptop e cellulari si posizionino rispetto alla possibilità di riparare i loro dispositivi. A uscirne peggio sono Apple, Microsoft, e Google.

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Una palaquium gutta matura poteva produrre circa 300 grammi di lattice. Ma nel 1857, il primo cavo transatlantico era lungo circa 3000 km e pesava 2000 tonnellate – richiedeva quindi circa 250 tonnellate di guttaperca. Per produrre una sola tonnellata di questo materiale erano necessari circa 900.000 tronchi d'albero. Le giungle della Malesia e di Singapore furono spogliate, e all'inizio del 1880 la palaquium gutta si estinse.

Questa è una delle storie più interessanti che racconta il libro della studiosa di media digitali Kate Crawford, Né artificiale né intelligente. Il lato oscuro dell’IA (Il Mulino, 2021, 312 pp., versione italiana dell’originale inglese Atlas of AI. Power, Politics and the Planetary Costs of Artificial Intelligence, Yale University Press, 2021).

Ma cosa c’entra il disastro ambientale vittoriano della guttaperca con l’intelligenza artificiale?

È proprio questo il merito del libro della Crawford, unire i puntini che legano la storia dello sviluppo tecnologico con il nostro presente. La storia di come si estinse l’albero di palaquium gutta è un’eco giunta fino a noi dalle origini della società dell’informazione globale, per mostrarci come siano intrecciate le relazioni tra la tecnologia e la sua materialità, l’ambiente e le diverse forme di sfruttamento.

[...]

Crawford costruisce una visione dell’IA non come una semplice tecnologia o un insieme di scoperte tecnologiche, ma come un apparato socio-tecnico, o socio-materiale, animato da una complessa rete di attori, istituzioni e tecnologie. L’IA per Crawford è “un’idea, un’infrastruttura, un’industria, una forma di esercizio del potere; è anche una manifestazione di un capitale altamente organizzato, sostenuto da vasti sistemi di estrazione e logistica, con catene di approvvigionamento che avviluppano l’intero pianeta” (p. 25).

Leggi l'articolo intero di Tiziano Bonini sul sito di DOPPIOZERO