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Pillole di informazione digitale

Segnalazioni di articoli su diritti digitali, software libero, open data, didattica, tecno-controllo, privacy, big data, AI, Machine learning...

La piattaforma antipirateria varata da Agcom non è conforme alla direttiva europea DSA.

La Commissione Europea ha recentemente inviato una comunicazione formale all'Italia, esprimendo preoccupazioni sulla piattaforma Piracy Shield, il sistema nazionale anti-pirateria gestito dall'Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni (Agcom). L'Unione Europea ritiene che la piattaforma, così come strutturata, non sia pienamente conforme al Digital Services Act (DSA), il regolamento europeo che disciplina i servizi digitali. Le critiche si concentrano su squilibri tra la lotta ai contenuti illegali e la tutela dei diritti fondamentali, come la libertà di espressione e informazione, oltre che sulla mancanza di meccanismi adeguati per prevenire blocchi errati e garantire trasparenza.

Piracy Shield, operativo dal 31 gennaio 2024, è stato introdotto per contrastare la diffusione illegale di contenuti protetti da diritto d'autore, come partite di calcio, film e serie TV, attraverso il blocco rapido di indirizzi IP e domini segnalati da titolari dei diritti, come Sky e DAZN. La piattaforma consente ai "segnalatori" autorizzati di richiedere il blocco di contenuti entro 30 minuti: un processo quasi interamente automatizzato che non prevede controlli umani preliminari da parte dell'Autorità. Questo meccanismo, pensato per garantire rapidità, ha però generato numerosi problemi, tra cui il blocco di siti e servizi legali: è accaduto lo scorso ottobre, quando una Content Delivery Network (CDN) di Google è stata oscurata per sei ore, rendendo inaccessibili servizi come Google Drive e YouTube per molti utenti italiani.

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Parigi chiede a Bruxelles di agire contro le ingerenze di Musk.

Prima Elon Musk, poi Mark Zuckerberg. Quasi una manovra a tenaglia. Il primo destabilizza l'Europa prendendo di mira capi di Stato e di governo nei suoi post e spinge i movimenti di estrema destra, il secondo - sull'onda di una conversione tardiva al trumpismo - si scaglia contro l'eccessiva regolamentazione dell'Unione Europea ed evoca persino la censura. L'Ue non vuole alzare i toni, pur vedendo le nubi addensarsi all'orizzonte.

Non è il suo stile, diciamo. Eppure tocca marcare il territorio: "La moderazione dei contenuti - nota Bruxelles - non significa censura". "La libertà di espressione è al centro del Digital Services Act (Dsa), che stabilisce le regole per gli intermediari online per contrastare i contenuti illegali, salvaguardando la libertà di espressione e d'informazione online: nessuna disposizione del Dsa obbliga le piattaforme a rimuovere i contenuti leciti", dichiara all'ANSA un portavoce della Commissione Europea in risposta alle accuse del patron di Facebook.

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Sintetizzando, sono ormai parecchi anni che le piattaforme digitali sono moderate, con buona pace delle utopie libertarie della rete: la gran parte di quello che vediamo oggi su internet é gestita, direttamente dalla piattaforme di riferimento oppure da aziende terze, perché si tratta di ambienti di tipo commerciale, istituzionale, in definitiva spazi non liberi.

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Approfondimento Dal Digital services act all'AI act

"La moderazione mediata dalle macchine è la regola, con i deludenti risultati che conosciamo: opere d'arte censurate perché considerate nudi imbarazzanti, post eliminati e ricorsi che si perdono nei meandri delle big tech."

"Per effetto del Dsa Bruxelles ha bloccato il lancio di TikTok Lite in Europa, giudicano pericoloso il suo sistema di ricompense per stare sul social perché genererebbe dipendenza. Anche per Temu e Shein sono scattate le prime richieste di informazioni su come gestiscono la sorveglianza di prodotti illegali, che se insoddisfacenti potrebbe costare un'indagine a carico."

Il 25 agosto è entrato in vigore il Digital Services Act, per ora per le piattaforme online più grandi (quelle con più di 45 milioni di utenti), sino a che sarà applicabile a tutti gli operatori di servizi online a partire dal 17 febbraio 2024. I soggetti interessati sono tutti gli intermediari online, i motori di ricerca e le piattaforme di comunicazione sociale (mercati online, social network, piattaforme di condivisione di contenuti, app store e piattaforme di viaggio e alloggio online) che saranno soggetti a obblighi specifici e crescenti in ragione della dimensione della impresa.

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Alla base vi sono questioni di difficile soluzione, che concernono la natura giuridica dei soggetti coinvolti dalle istituzioni pubbliche. In primo luogo, che cosa sono le grandi piattaforme del web: poteri privati o soggetti che esercitano una funzione pubblica? O altro ancora? E inoltre. Se la premessa è l’eccesso di potere dei baroni del digitale, i c.d. Gafam (Google, Amazon, Facebook, Apple, Microsoft), siamo sicuri che coinvolgerli direttamente nella vigilanza del discorso pubblico costituisca davvero un limite a tale potere e non equivalga invece ad accrescerlo? Il contratto con il quale l’utente usufruisce dei servizi digitali rischia di trasformarsi in un atto di delega, alle compagnie del web, del controllo su alcuni diritti di rango costituzionale. Si può certamente comprendere come taluni profili di interventismo delle Big Companies di Internet abbia ragione di sussistere per le comunicazioni commerciali, per le offerte cioè di beni o servizi, o per quel tipo di comunicazione palesemente illegale perché rimandante a profili della legislazione penale degli Stati membri. Il punto, però, è che il DSA si occupa anche di tutti quei contenuti che costituiscono la mera espressione del proprio pensiero, cioè di una delle libertà costituzionali fondanti dall’Illuminismo in poi l’identità della società civile europea e non solo.

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Tira un’aria meno favorevole agli oligarchi della rete. Dopo molto (troppo) tempo, i cosiddetti Over The Top non sono più intoccabili.

Certamente, il quadro normativo europeo ha cambiato di segno. I due recenti provvedimenti – Digital Services Act (DSA) e Digital Market Act (DMA) – hanno chiuso una lunga afasia legislativa in merito ai nuovi prepotenti del capitalismo delle piattaforme. Gli oligopoli in questione, peraltro tassati in modo irrisorio, godevano di uno status paradossale. Dotate di poteri enormi, le grandi società del Web ricche e popolate da milioni di utenti attraversavano impunemente le maglie di un diritto pensato nell’età analogica e scritto da pur illustri giuristi immersi in una cultura ormai superata.

Ora il vento sta facendo il suo giro e – finalmente- si riconosce la realtà dei fatti. Se già nell’epoca di McLuhan il mezzo era il messaggio, nella stagione digitale il messaggio sussiste in quanto è veicolato da un reticolo diffusivo che apre e chiude i rubinetti a suo piacimento.

leggi l'articolo completo di Vinenzo Vita sul sito de "Il Manifesto" (è necessaria la registrazione gratuita)

Dal Podcast del Corriere della sera.
Al secondo tentativo, l’uomo più ricco del mondo ce l’ha fatta: per 44 miliardi di dollari è diventato il proprietario del social network più influente nel campo dell’informazione. Massimo Gaggi spiega in che modo il fondatore di Tesla e SpaceX interverrà sulla libertà di parola, adottando sui contenuti una linea di apertura che va nella direzione contraria alle nuove norme (Digital Services Act - Dsa) alle quali sta pensando Bruxelles, come racconta Massimiliano Jattoni Dall’Asén .

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