La violenza nel Mar Rosso porta all’attenzione un tema su cui sappiamo poco: i cavi che garantiscono i collegamenti internet nel mondo. Ecco perché sono così importanti
Negli ultimi mesi, l’escalation di violenza nel Mar Rosso, con i ripetuti attacchi dei ribelli Houthi yemeniti, ha portato all’attenzione generale un tema fino a poco tempo fa poco conosciuto: quello della strategicità (oltre che della presenza) dei cavi sottomarini che garantiscono i collegamenti internet nel mondo.
Non tutti sanno infatti che solo l’1% del traffico web globale scorre su cavi su terraferma, mentre il restante 99% transita sotto i mari, dove il traffico transatlantico di dati raddoppia in media ogni due anni.
Disconnessioni. Guasto al largo di Abidjan, da giovedì paesi popolosi come Nigeria e Sudafrica sperimentano seri problemi di connettività. Cittadini, imprese e istituzioni in tilt. Mistero sulle cause e incertezza sui tempi di recupero
Lo scenario in cui oltre mezzo miliardo di persone, tutte allo stesso momento, si ritrovano fuori dal mondo perché Internet va in down e non si riprende più è una delle più inquietanti, distopiche e pericolose eventualità che il mondo potrebbe fronteggiare.
IN REALTÀ QUESTO SCENARIO si è verificato in mezza Africa alle 12:30 di giovedì. A farne le spese, in Costa d’Avorio, Liberia, Benin, Ghana, Burkina Faso (in modo grave), Sudafrica, Lesotho, Nigeria (in modo lieve), Camerun, Gabon e Namibia (a singhiozzo), milioni di individui che fanno fatica, ancora oggi, ad accedere a internet. In questi Paesi vivono, complessivamente, oltre 400 milioni di persone. E, con loro, le pubbliche amministrazioni, le imprese, i grandi gruppi industriali, tutti stanno avendo problemi più o meno gravi con la connettività. In Costa d’Avorio giovedì pomeriggio era al 4% della sua capacità, il 14% in Benin, 17% in Liberia, 25% in Ghana.
Sarebbero 4 le linee Internet danneggiate. La conferma arriva da una sola società, che non si sbilancia sulle cause. Ma l’allarme era stato lanciato 3 settimane fa.
Prima gli attacchi alle navi occidentali nel Mar Rosso, adesso (forse) il sabotaggio di alcuni cavi sottomarini che trasmettono dati e tengono in piedi l’infrastruttura globale di Internet. Le rappresaglie dei miliziani Houthi, gruppo armato yemenita filo-iraniano, si intensificano e potrebbero aver trovato nuovi obiettivi, anche se i miliziani hanno smentito questa ipotesi.
Partiamo dall’inizio: secondo diversi media dell’area, sarebbero almeno quattro i cavi sottomarini danneggiati nel Mar Rosso: il cavo AAE-1 (Asia-Africa-Europa 1, lungo 25mila chilometri, dal sud-est asiatico all’Europa; il cavo Seacom (cavo da 17mila chilometri che collega Sudafrica, Kenya, Tanzania, Mozambico, Gibuti, Francia e India); il cavo Europe India Gateway (Eig) di 15mila chilometri. Almeno per uno di questi cavi c’è la conferma ufficiale del danneggiamento: si tratta del cavo Seacom.
Il vero punto è però un altro: non è chiaro se i danni siano dovuti a sabotaggi o a più banali incidenti marittimi (magari causati da attrezzature da pesca come reti da traino o ancore trascinate sul fondo del mare). C’è da dire che la seconda ipotesi sembra tuttavia abbastanza difficile, considerato che la costruzione e la posa dei cavi tengono conto del traffico marittimo e di queste eventualità.
Via libera alla vendita al fondo Kkr, il futuro è lo spezzatino di quel che resta: dalla privatizzazione con lo 0,6% degli Agnelli alle scalate a debito, ecco chi ha distrutto l’azienda
Ella fu. Tim continuerà ancora formalmente a vivere per un po’, almeno fino alla vendita pezzo dopo pezzo di quel che rimane, ma la lunga storia della società iniziata nel 1933 con la fondazione della Stet è finita ieri ed è, per i suoi ultimi trent’anni, una storia ingloriosa in cui convergono l’insipienza dolosa o colposa della classe dirigente politica e il cialtronismo straccione della cosiddetta “grande impresa” italiana, ché “il cretinismo degli industriali” di cui Antonio Gramsci non può coprire tutta la vicenda.
Nel Consiglio dei ministri di lunedì 28 agosto il governo ha approvato due decreti con cui autorizza l’acquisto di una parte della rete infrastrutturale di Tim, la principale società di telefonia italiana, insieme al fondo statunitense KKR, che ormai da settimane ne sta trattando l’acquisto con Tim. Il fondo americano KKR diventerà proprietario al 65% di un asset strategico
Nell'articolo pubblicato da Il Fatto Quotidiano, Stefania Maurizi pone una serie di dubbi: "A quali leggi e regolamenti saranno sottoposti i nuovi ‘padroni’ dei cavi? Negli Stati Uniti le tutele sono assai minori".
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L'operazione, propagandata dal governo come il ritorno del Pubblico nel controllo di settori strategici nazionali, è in realtà la vendita ad un fondo USA.
Sul sito di AGI si può leggere un articolo che spiega la vicenda