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Pillole di informazione digitale

Segnalazioni di articoli su diritti digitali, software libero, open data, didattica, tecno-controllo, privacy, big data, AI, Machine learning...

Nel magico mondo dei dati certe storie non finiscono, fanno dei giri immensi e poi ritornano, come diceva Venditti.

Una di queste storie riguarda i CAP, codici di avviamento postale, che sono dati pubblici ma non sono open data. Pagati con le tasse di noi cittadini, raccolti negli anni dallo Stato italiano, ora sono di proprietà di Poste Italiane, che li vende. Se fossero open data sarebbero utilissimi per chi fa le mappe. Per come stanno le cose oggi invece, se un cittadino come me volesse usare per lavoro quei CAP, dovrebbe ripagarli un’altra volta. È uno degli “scandali” dell’Open Data italiano questo, e la stessa assurda limitazione vale ad esempio per i dati delle aziende: pagati dalle aziende e dai cittadini, oggi sono raccolti dalle Camere di Commercio che li vende (e tra gli acquirenti sai chi c’è? Ovviamente anche lo Stato! :D).

Ma andiamo per gradi, per capire per bene il tutto.

Nell'articolo ci sono dritte e criticità per trovare, usare e analizzare i dati relativi al Covid.

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  • È ormai verosimile che i dati della pubblica amministrazione italiana saranno in futuro gestiti da una cordata composta da Tim, Cdp, Sogei e Leonardo, dove però il principale fornitore tecnologico sarà Google, che con Tim ha avviato un’importante partnership nazionale.
  • È un problema innanzitutto di autonomia tecnologica: come si fa a far girare tutti i propri dati e servizi su piattaforme online il cui interruttore si trova negli Usa?
  • E poi c’è il tema della sovranità, perché gli Usa dispongono di normative extraterritoriali, il Cloud Act ed il Fisa 702, che consentono loro di accedere a qualsiasi dato contenuto nei server di loro operatori, anche se ubicati in Europa.

In rete girano già battute del tipo: «I dati della pubblica amministrazione sono su Google, così sarà più facile trovarli». Scherzi a parte...

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Intervista. Parla Sanneke Kloppenburg, autrice di un saggio su climate governance e criptovalute. L’illusione di rivoluzionare la lotta alla CO2 con codici informatici

Di recente Sanneke Kloppenburg è stata co-autrice di un articolo estremamente informativo in cui lei e i suoi due colleghi conducono un’indagine di quella che soprannominano «cryptogovernance climatica». Hanno analizzato i documenti di svariate organizzazioni internazionali che si occupano di governance climatica e hanno scovato un gran numero di tesi che potrei definire soltanto “tecno-risolutive” riguardo all’immenso potenziale trasformativo del blockchain. Eppure, leggendo l’articolo, ho avuto l’impressione che somigliassero a quelle «soluzioni non trasformative» – frase che prendo in prestito dal loro ottimo saggio – che circolano nel dibattito sulle politiche internazionali.

Come era prevedibile, emerge che gran parte di questo genere di discorso sulla cryptogovernance non è che l’ennesimo modo di legittimare gli approcci esistenti, fondati su una combinazione di tecnocrazia e di fiducia nel funzionamento delle soluzioni incentrate sul mercato. Come viene chiarito dall’articolo, le tecnologie blockchain rafforzano inoltre molte delle tendenze esistenti della governance ambientale, fra cui – parola nuova per me – la “misuramentalità”.

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A cavalcare l'onda dei chip sono sia il mercato dell'auto, dove ormai i semiconduttori sono presenti in molteplici parti, dal gruppo motore alla navigazione all'infotainment, alla strumentazione, sia gli altri prodotti come i pc, le cui vendite sono aumentate in seguito al maggior peso dello smartworking in tempi di pandemia

Ndr: Nessuno prende in considerazione di ridurre la corsa al prodotto nuovo? Per esempio: sto scrivendo con un computer ricondizionato, acquistato 4 anni fa, che ha 6 anni di età ed è ancora velocissimo.

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Le smart tv comunicano e inviano dati anche a destinatari terzi. Un traffico, che secondo uno studio dell’Imperial college e della Northeastern university, non è necessario a fornire il servizio. È quello che emerge dalla nuova inchiesta di Report in onda su Rai 3 il lunedì 27 dicembre alle ore 21:20

Non siamo solo noi a guardare la tv, ora è la tv che guarda noi. Grazie agli esperimenti condotti dai ricercatori dell’Imperial College e della Northeastern University, è emerso che tra gli elettrodomestici intelligenti, le smart tv sono quelle che più di tutti contattano terze parti, cioè servizi di profilazione, pubblicità, tracking e destinazioni non richieste per fornire il servizio.

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La decisione dello scorso 13 dicembre del Tribunale di Venezia segna un’importante vittoria per il Software Libero in Italia.

Rappresenta infatti un passo importante nella direzione di un potenziamento della tutela delle opere dell’ingegno distribuite attraverso licenze di software libero in tutte le sue forme, un concreto progresso per la giurisprudenza italiana in materia e più in generale per il Paese.

La vicenda nasce da un ricorso di Ovation S.r.l., società titolare del software Dynamic.ooo – Dynamic Content for Elementor, tra i principali plugin per Elementor, il più importante page builder al mondo per creare siti internet con WordPress.

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Bello il telelavoro agile. O forse non sono tutte rose e fiori?

Puntata del 17 dicembre del podcast DataKnightmare: L'algoritmico è politico di Walter Vannini.

Perché non ci abbiamo pensato prima. Come cambia la vita dei lavoratori da remoto. Chi guadagna dal lavoro agile.

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Mentre in Italia nasce l’associazione Gaia-X Hub Italia sostenuta da tre ministeri, uno dei fondatori del consorzio lascia per dopo l’ingresso dei big player mondiali. Il progetto rischia di perdere la sua identità? Il punto sulle sfide che caratterizzano il funzionamento di un cloud e la sovranità digitale Ue

In queste ultime settimane il progetto Gaia-X, un’iniziativa europea per riguadagnare almeno un po’ il terreno perduto dall’Europa in tema di cloud, è tornato sotto i riflettori con l’annuncio della costituzione dell’associazione Gaia-X Hub Italia sostenuta da tre ministeri (Sviluppo economico, Innovazione e transizione digitale, Università e ricerca) e da altri attori rilevanti nel panorama nazionale.

Allo stesso tempo uno dei 22 fondatori del consorzio Gaia-X, Scaleway attore francese del public cloud, ha annunciato l’intenzione di non rinnovare l’adesione al consorzio assumendo posizioni molto critiche sul progetto. Il provider francese contesta infatti l’ingresso nel consorzio che oggi conta oltre 300 organizzazioni dei big player del cloud pubblico mondiale come AWS, Microsoft, Google, IBM se si pensa all’America o Huawei se si pensa alla Cina. È evidente che se l’aspetto centrale nel progetto Gaia-X era quello di assicurare un’autonomia europea in materia di cloud l’ingresso di questi grandi player extracomunitari può influenzare il progetto fino a farne perdere l’identità, che è l’essenza dell’accusa mossa da Scaleway.

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Capitalismo delle piattaforme. Il Digital Services Act e il Digital Markets Act si avviano al confronto finale prima dell'approvazione. Tra luci e ombre, resta il nodo del consenso alla profilazione degli utenti

Ti proteggo dagli abusi delle Big Tech, almeno da quelli più evidenti. E non è certo poco, in un mondo – nel resto del mondo – che sta andando nel verso opposto. Metto dei limiti – più tratteggiati che indicati – allo strapotere del “GAFA”, Google, Amazon, FaceBook o Meta che dir si voglia, Apple. Lo faccio. Ma poi ti lascio solo. Solo davanti alla loro invadenza, “te la vedi te”.

E’ in questo modo, infatti, che l’Europa si avvia a concludere un faticosissimo confronto destinato ad incidere direttamente sul lavoro, sulle abitudini e sulle vite di tutti.

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Nella puntata del 14 novembre 2021 affrontiamo il tema dello sfruttamento nel mondo del lavoro dell'IT, soffermandoci in particolare sulle specificità italiane, tra cui l'uso di forme di organizzazione del lavoro come il body rental, le (più o meno finte) consulenze. Insieme a Simone, uno degli organizzatori di Tech Workers Coalition Italia, riflettiamo sulle conseguenze che queste modalità hanno sugli ambienti di lavoro, sulla vita di lavoratori e lavoratrici, sulla qualità dei software prodotti - i quali, non dimentichiamolo, spesso si traducono in servizi offerti al cittadino.

Ci facciamo anche raccontare cosa TWC è e non è, a chi si rivolge, quali modalità di organizzazione ha e quali prospettive.

Ascolta la puntata sul sito di Radio Onda Rossa