Pillole

Pillole di informazione digitale

Segnalazioni di articoli su diritti digitali, software libero, open data, didattica, tecno-controllo, privacy, big data, AI, Machine learning...

Nel 1973, quando il mondo ancora credeva ciecamente nel progresso tecnologico come panacea universale, un ex-sacerdote di origine austriaca pubblicava un libro che oggi suona come una profezia inquietante. Ivan Illich, nato nel 1926 e figura controversa che rinunciò ai titoli ecclesiastici senza mai diventare completamente laico, ci consegnava con "La convivialità. Una proposta libertaria per una politica di limiti allo sviluppo" una chiave di lettura del nostro presente che fa tremare le certezze.

L'equilibrio perduto: quando lo strumento divora l'uomo

Illich introduce un concetto rivoluzionario, ovvero l'equilibrio multidimensionale della vita umana, e ogni sua dimensione corrisponde a una scala naturale specifica. Ma quando un'attività umana, mediata dagli strumenti, supera una soglia critica definita dalla sua scala naturale, accade qualcosa di drammatico: l'attività si rivolge contro il proprio scopo originario e minaccia di distruggere l'intero corpo sociale.

La società avanzata della produzione di massa, quella che oggi chiamiamo tardo-capitalismo, sta generando la propria autodistruzione.

Leggi l'articolo di Susanna Di Vincenzo

Su questo tema consigliamo il libro di Carlo Milani, Tecnologie Conviviali

Con lo sviluppo dell’intelligenza artificiale i data center consumano sempre più acqua, lasciando a secco intere comunità

Una famiglia che abita nella contea di Newton, a un’ora e mezza in macchina da Atlanta, da diversi anni ha problemi con l’acqua. Racconta infatti il New York Times che dal 2018 la lavastoviglie, la macchina del ghiaccio, la lavatrice e il gabinetto hanno smesso uno per uno di funzionare. Poi, nel giro di un anno, la pressione dell’acqua si è ridotta a un rivolo. Finché dai rubinetti del bagno e della cucina non usciva più acqua. Nulla. Ma il problema, ovviamente, non riguarda solo questa famiglia.

[...]

Tutto questo perché? Perché dal 2018, appunto, è cominciata la costruzione del nuovo data center di Meta. I data center sono immensi centri di elaborazione dati che in breve tempo sono diventati la spina dorsale della nostra economia. Sono l’infrastruttura critica che alimenta l’archiviazione cloud, i servizi di emergenza, i sistemi bancari, le comunicazioni e la logistica. Ma sono i data center sono strutture gigantesche che consumano quantità immense di energia, suolo e acqua. Con il rapido sviluppo dell’intelligenza artificiale, questi consumi sono destinati a crescere a ritmo esponenziale.

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Palantir è probabilmente una delle aziende più controverse dell’America contemporanea. Cofondata dal miliardario tech libertario Peter Thiel, il lavoro della società di software con l’Immigration and Customs Enforcement (ICE), il Dipartimento della Difesa statunitense e l’esercito israeliano, ha scatenato numerose proteste in più Paesi.

Una recente inchiesta di Wired prova a spiegare cosa fa, grazie a interviste a ex dipendenti.

“È davvero difficile spiegare su cosa lavori Palantir o cosa faccia”, dice Linda Xia, ingegnere in Palantir dal 2022 al 2024. “Anche per chi ci ha lavorato, è difficile capire come dare una spiegazione coerente.” Xia è una dei 13 ex membri dello staff che a maggio hanno firmato una lettera aperta sostenendo che l’azienda rischia di essere complice dell’autoritarismo continuando a collaborare con l’amministrazione Trump.

Lei e altri ex dipendenti intervistati da WIRED per questo articolo sostengono che, per affrontare il tema Palantir e il suo ruolo nel mondo — e, ancor più, per chiedere conto delle sue azioni — bisogna prima capire cosa sia davvero. Non è che gli ex dipendenti non sappiano letteralmente cosa Palantir venda.

Ciò che in definitiva vende non è solo software, ma l’idea di una soluzione senza attriti, quasi magica, a problemi complessi. Per farlo, Palantir usa spesso il linguaggio e l’estetica della guerra, presentandosi come un potente partner di intelligence quasi militare.

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Fonte originale qui e qui

Microsoft collabora con l'unità 8200, facilitando sorveglianza e attacchi a Gaza e Cisgiordania

Nel tardo 2021, il CEO di Microsoft, Satya Nadella, ha incontrato Yossi Sariel, comandante dell’unità di intelligence israeliana Unit 8200, presso la sede dell’azienda vicino a Seattle. Oggetto del colloquio: trasferire una quantità enorme di materiale segreto nei server cloud di Microsoft.

L’accordo – rivelato da Guardian – prevedeva la creazione di un’area riservata all’interno della piattaforma Azure, dove Unit 8200 ha iniziato a costruire un nuovo sistema di sorveglianza di massa. Questo strumento raccoglie e archivia quotidianamente milioni di telefonate di palestinesi nella Striscia di Gaza e in Cisgiordania, consentendo l’accesso retroattivo ai contenuti delle conversazioni.

Rivelato per la prima volta da un’indagine congiunta del Guardian, del magazine +972 e del sito Local Call, il sistema è operativo dal 2022. Microsoft sostiene che Nadella non fosse a conoscenza della natura dei dati che Unit 8200 intendeva archiviare. Tuttavia, documenti interni e testimonianze di 11 fonti tra Microsoft e ambienti militari israeliani indicano che Azure è stato utilizzato per conservare un vasto archivio di comunicazioni quotidiane palestinesi.

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Durante la scorsa edizione di Hackmeeting è stato presentato un piccolo e prezioso opuscolo sull'uso delle mail dal titolo "Aprite quella posta".

L’email è uno degli strumenti di telecomunicazione più vecchi che ancora utilizziamo. Non è un sistema perfetto: molte delle sue caratteristiche sono dei rimasugli tecnici, in un mondo che ormai si è trasformato. Eppure continua a tornarci utile.

Anzitutto, si tratta di uno strumento longevo: l’email non è ancora morta, e non morirà per un bel po’, nonostante il suo uso si stia trasformando.

L’email è una sorta di lingua franca: forse nessuno si sentirebbe di definirlo il proprio strumento preferito, ma praticamente chiunque ne ha una e spesso risulta di fatto il metodo più efficace per stabilire una comunicazione.

L’email è un sistema non nominativo: questo la distingue da Whatsapp, Telegram, Signal, Facebook, Instagram, i quali per funzionare richiedono un’identità (spesso in forma di numero telefonico). Come email puoi scegliere un nome totalmente immaginario, puoi averne quante ne vuoi e associare a ciascuna un contesto e un’identità diversa, non necessariamente collegabile alla tua anagrafica.

L’email è un sistema federato: non è nelle mani di una singola entità, ma è il risultato della collaborazione tra server eterogenei per natura e dimensione.

Ma soprattutto, è un sistema flessibile

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Il caso di Jason Lemkin, dirigente d’impresa e investitore, che si è lasciato ammaliare dalle promesse dell’azienda di IA Replit, rischiando di perdere l’intero database di produzione: il cuore pulsante della sua attività professionale.

A partire dal 12 luglio, il co-fondatore di Adobe EchoSign e SaaStr ha documentato via blog la sua esperienza personale con il vibe coding. Il primo approccio è stato idilliaco: adoperando un linguaggio naturale, il manager è riuscito “in una manciata di ore a costruire un prototipo che era molto, molto fico”. Un inizio estremamente promettente, soprattutto considerando che Replit si propone alle aziende come una soluzione accessibile anche a chi ha “zero competenze nella programmazione”, promettendo di far risparmiare alle aziende centinaia di migliaia di dollari. Leggendo tra le righe, la promessa implicita è chiara: sostituire i tecnici formati con personale più economico, supportato dall’IA.

La premessa, tuttavia, è stata presto messa alla prova. “Dopo tre giorni e mezzo dall’inizio del mio nuovo progetto, ho controllato i costi su Replit: 607,70 dollari aggiuntivi oltre al piano d’abbonamento da 25 dollari al mese. Altri 200 dollari solo ieri”, ha rivelato Lemkin. “A questo ritmo, è probabile che spenderò 8.000 dollari al mese. E sapete una cosa? Neanche mi dispiace”. Anche perché, a detta del manager, sperimentare con il vibe coding è una “pura scarica di dopamina”, e Replit è “l’app più assuefacente” che abbia mai usato.

Dopo poco, il manager si è reso conto che...

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Il colosso cinese dell’e-commerce JD.com ha annunciato l’acquisizione del gruppo tedesco Ceconomy, la holding tedesca che controlla MediaMarkt e Saturn. L’operazione regala al dragone rosso l’accesso a due marchi simbolo del retail tecnologico tedesco e italiano: MediaWorld e Unieuro. Con il controllo di Ceconomy, JD.com ottiene, infatti, un accesso indiretto anche a Unieuro, in quanto, la holding tedesca detiene il 23,4 % della francese Fnac Darty, che nel 2024 ha acquistato la catena italiana.

Si tratta di un affare da 2,2 miliardi di euro, con un’offerta pubblica d’acquisto al prezzo di 4,60 euro per azione. Una mossa studiata nei minimi dettagli: JD.com acquisisce così una rete distributiva imponente con 48.000 dipendenti, oltre 22 miliardi di euro di fatturato (dati 2023/2024) e una presenza in 11 Paesi. In Italia, dove MediaWorld è il secondo mercato per volumi dopo la Germania, la rete conta 144 negozi e 5.000 lavoratori. Il completamento dell’operazione è previsto per la prima metà del 2026, dopo il monitoraggio e il via libera delle autorità antitrust europee. La mossa non è solo economica, ma geopolitica e in Italia dovrebbe accendere più di un campanello d’allarme.

JD.com – terzo player cinese dell’e-commerce dopo Alibaba e Pinduoduo – non è nuovo ai colpi di scena. Già attivo in Francia, Regno Unito e Paesi Bassi con la sua piattaforma Ochama, ora entra dalla porta principale nel Vecchio Continente con l’acquisizione di Ceconomy. Fondata nel 1998 da Richard Liu con il nome 360Buy, JD.com è diventata negli anni una delle realtà più avanzate dell’e-commerce globale, distinguendosi per una strategia radicalmente diversa dai competitor cinesi come Alibaba e Temu. Mentre questi ultimi si affidano a modelli marketplace aperti a venditori terzi, JD.com controlla direttamente l’intera filiera, dalla logistica alla consegna, fino alla piattaforma tecnologica. In Cina può contare su oltre 820 magazzini, più di 37.600 veicoli per le consegne e una forza lavoro logistica di oltre 323 mila persone.

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LA DENUNCIA DELLE ASSOCIAZIONI PER I DIRITTI DIGITALI «Vengono utilizzati per facilitare gli omicidi indiscriminati» nella Striscia

Sì, anche i dati. Fornisce soldi e armi per il genocidio, aiuta nella ricerca di nuovi strumenti per lo sterminio. Ma questo lo sanno tutti, lo conferma la «non sospensione» dell’accordo di associazione di poche settimane fa. Pochi, però, sanno che l’Europa fa di più: fornisce, “regala” ad Israele anche i dati dei suoi cittadini. Che in qualche modo aiutano quel genocidio, sono un “pezzo” del genocidio.

BENINTESO, la notizia non è nuova. Perché in Europa funziona così: c’è il Gdpr – la più avanzata delle leggi in materia di privacy e che, non a caso, infastidisce il comitato di big tech che governa gli Usa – che regola e vieta nel vecchio continente l’estrazione delle informazioni sugli utenti digitali. Nel resto del mondo però non ci sono le stesse norme. Così l’Europa – quando i diritti contavano, all’epoca di Rodotà per capirci – decise che i dati personali potevano essere trattati da paesi extra europei solo se garantivano gli stessi standard, la stessa protezione.

Un tema delicatissimo – lo si intuisce – perché i server dei colossi digitali più usati hanno tutti sede negli States, dove le leggi in materia semplicemente non esistono. E questo ha dato vita a molti contenziosi, per ora tutti vinti dai difensori dei diritti, l’ultimo dei quali deve ancora concludere il suo iter.

Ma questo è un altro discorso. Qui si parla di Israele. Otto mesi dopo l’avvio delle stragi a Gaza, 50 associazioni si rivolsero alla commissione di Bruxelles perché era già evidente che non esistessero più le condizioni – se mai ci fossero state – per definire «adeguata» la protezione dei dati europei in Israele. Di più: le organizzazioni rammentavano che la reciprocità nell’uso dei dati può avvenire solo – è scritto testualmente – con paesi e governi che assicurino il «rispetto dei diritti umani».

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Long story short: l'8 marzo 2024 la Commissione Europea, con il supporto dell'EDPB, il Garante Europeo, ha riscontrato una serie di criticità e violazioni, 180 pagine per descrivere minuziosamente le ragioni per le quali office356 fa talmente schifo da non poter essere utilizzato dagli enti, istituzioni e organi dell'Unione Europea.

Dopo varie interlocuzioni e modifiche, l'11 luglio l'EDPB ha chiuso l'indagine confermando la risoluzione delle problematiche precedentemente riscontrate.

Oggi, 28 luglio, la Commissione Europea ha emanato un comunicato dichiarando la conformità di Microsoft 365 alla normativa in materia di protezione dei dati applicabile (che non è il GDPR ma quasi... qui si applica il regolamento UE 2018/1725)

L'EDPS (che non è l'EDPB ma quasi) ha eslamato giubilante:

"Grazie alla nostra indagine approfondita e al seguito dato dalla Commissione, abbiamo contribuito congiuntamente a un significativo miglioramento della conformità alla protezione dei dati nell'uso di Microsoft 365 da parte della Commissione. La Corte riconosce e apprezza inoltre gli sforzi compiuti da Microsoft per allinearsi ai requisiti della Commissione derivanti dalla decisione del GEPD del marzo 2024. Si tratta di un successo significativo e condiviso e di un segnale forte di ciò che può essere conseguito attraverso una cooperazione costruttiva e una vigilanza efficace."

Cosa è successo? Cosa potrà mai essere accaduto, nel frattempo, per consentire a Microsoft Office365 di entrare trionfante nel valhalla, accompagnato dalla immortale musica di Wagner?

Perché non mi sento affatto tranquillo? Beh, forse io non faccio testo...

Leggi l'articolo di Christian Bernieri

Il direttore degli affari pubblici e giuridici di Microsoft Francia ha dichiarato, di fronte a una commissione del Senato francese, che l'azienda non può garantire che i dati dei cittadini francesi custoditi sui server in Europa non verranno trasmessi al governo statunitense. Si tratta di una dichiarazione estremamente importante, in particolare nell'ambito del dibattito attuale legato alla sovranità digitale europea.

Era il 10 giugno scorso quando Anton Carniaux, direttore degli affari pubblici e giuridici per Microsoft Francia, ha testimoniato di fronte al Senato francese per parlare degli ordini che l'azienda riceve tramite l'Union des groupements d'achats publics (UGAP), ovvero un ente che si occupa di centralizzare l'acquisto di beni e servizi per scuole e comuni.

Carniaux ha affermato, durante la sua testimonianza, che Microsoft non può garantire che i dati dei cittadini francesi non vengano trasferiti verso gli USA a seguito di una richiesta del governo statunitense, ma altresì che una tale richiesta di trasferimento non è mai avvenuta. Il CLOUD Act, diventato legge nel 2018, fa infatti sì che il governo statunitense possa richiedere accesso ai dati contenuti nei data center delle aziende americane, anche quando tali dati sono fisicamente localizzati in altri Paesi.

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