Parigi chiede a Bruxelles di agire contro le ingerenze di Musk.
Prima Elon Musk, poi Mark Zuckerberg. Quasi una manovra a tenaglia. Il primo destabilizza l'Europa prendendo di mira capi di Stato e di governo nei suoi post e spinge i movimenti di estrema destra, il secondo - sull'onda di una conversione tardiva al trumpismo - si scaglia contro l'eccessiva regolamentazione dell'Unione Europea ed evoca persino la censura. L'Ue non vuole alzare i toni, pur vedendo le nubi addensarsi all'orizzonte.
Non è il suo stile, diciamo. Eppure tocca marcare il territorio: "La moderazione dei contenuti - nota Bruxelles - non significa censura". "La libertà di espressione è al centro del Digital Services Act (Dsa), che stabilisce le regole per gli intermediari online per contrastare i contenuti illegali, salvaguardando la libertà di espressione e d'informazione online: nessuna disposizione del Dsa obbliga le piattaforme a rimuovere i contenuti leciti", dichiara all'ANSA un portavoce della Commissione Europea in risposta alle accuse del patron di Facebook.
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Una campagna promossa da FSFE
Perché il software creato usando i soldi dei contribuenti non è rilasciato come Software Libero?
Vogliamo che la legge richieda che il software finanziato pubblicamente e sviluppato per il settore pubblico sia reso pubblicamente disponibile sotto una licenza Software Libero/Open Source. Se è denaro pubblico (public money), allora dovrebbe essere pubblico anche il codice sorgente (public code).
Il codice pagato dalle persone dovrebbe essere disponibile alle persone!
Informati sul sito della campagna dove si può firmare la lettera aperta.
Nel suo rapporto Draghi dice che non possiamo avere una forte tutela dei diritti fondamentali e allo stesso tempo aspettarci di promuovere l’innovazione. La critica è rivolta in particolare al GDPR, che protegge i nostri dati personali. Ma è una critica senza fondamento.
Tra le cause della scarsa competitività delle imprese europee nei settori avanzati dell’informatica, oggi chiamata “intelligenza artificiale”, il rapporto Draghi individua la regolamentazione dell’Unione Europea sull’uso dei dati1. Considerata troppo complessa e onerosa rispetto ai sistemi in vigore nei principali paesi leader, come USA e Cina, tale regolamentazione penalizzerebbe i ricercatori e gli innovatori europei impegnati nella competizione globale.
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Il senso è chiaro: non possiamo avere una forte tutela dei diritti fondamentali e allo stesso tempo aspettarci di promuovere l’innovazione. Il trade-off è inevitabile, e prepariamoci ad affrontarlo.
Ma quali sarebbero gli ostacoli che questa “strong ex ante regulatory safeguard” pone all’innovazione e alla competitività delle imprese europee? Il rapporto Draghi ne individua tre: i) il GDPR impone oneri alle imprese europee impegnate nei settori di punta dell’intelligenza artificiale che le penalizzano rispetto ai concorrenti USA e cinesi; ii) l’applicazione frammentaria e incoerente del GDPR crea incertezza sull’uso legittimo dei dati e iii) questa incertezza impedisce, in modo particolare, l’uso efficiente dei dati sanitari per lo sviluppo di strumenti di intelligenza artificiale nel settore medico e farmaceutico.
Verifichiamo se gli argomenti a sostegno di queste tesi possono reggere a un’analisi un po’ approfondita.
La Corte di Giustizia dell'Unione europea ha respinto il ricorso che era stato presentato dal gruppo Alphabet Google contro una maximulta da 2,4 miliardi, che era stata inflitta dall'Antitrust europeo nel 2017 per abuso di posizione dominante nei risultati di ricerca.
Con un comunicato, la Corte Ue spiega di aver così confermato l’ammenda inflitta a Google per aver abusato della propria posizione dominante favorendo il proprio servizio di comparazione di prodotti.
Secondo le informazioni rivelate dalla Commissione Europea dal 2003 al 2014 l’aliquota pagata da Apple in Unione Europea è stata minima. Come riporta Politico parliamo di percentuali che vanno dall’1% allo 0,005%. Gli accordi erano stati firmati con il governo irlandese, dove la Big Tech aveva deciso di mettere la sua sede europea. La Corte di Giustizia Europea non ha ritenuto validi questi accordi: ora Apple deve restituire tutti gli arretrati.
Il tempismo non è dei migliori. A poche ore dal lancio di iPhone 16, Apple si è trovata sulla scrivania dei suoi legali una sentenza attesa da tempo. La Corte di Giustizia Europea ha deciso: Apple dovrà pagare 13,8 miliardi di tasse arretrate in Irlanda. Il motivo? I giudici hanno ritenuto non validi gli accordi fiscali stipulati da Dublino con la Big Tech californiana, accordi che prevedevano una serie di sconti in cambio della scelta dell’Irlanda come sede europea dell’azienda.
Questa decisione arriva da un contenzioso lungo dieci anni. Un contenzioso che a lungo è stato condotto da Margrethe Vestager, Commissaria europea per la concorrenza. È lei a commentare questa decisione della Corte di Giustizia: “È stata una vittoria che mi ha fatto piangere perché è molto importante. È molto importante mostrare ai contribuenti europei che ogni tanto si può fare giustizia fiscale”.
La localizzazione del dato sta diventando sempre di più un "false friend". il 24 giugno Microsoft ha ammesso agli organi di polizia scozzesi che non può garantire che i dati sensibili delle forze dell'ordine rimangano nel Regno Unito.
Può sembrare che processare i dati nei confini territoriali dello Stato sia una garanzia assoluta di sovranità. Purtroppo non è così, intanto perchè banalmente non sempre accade. Ed il caso inglese è emblematico. Ma comunque c’è sempre un dato fattuale che non possiamo più far finta di non vedere. L’operatore cloud extraeuropeo spesso si processa i dati in casa: la sua.
Nella migliore delle ipotesi, tiene fermi i dati degli utenti inattivi, ma gli altri li porta fuori e sono proprio quelli in elaborazione.
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Di quale sovranità stiamo parlando quando reclamiamo la localizzazione dei dati nei confini UE? Lo capiamo facilmente seguendo il filo conduttore che ha portato al rinnovo dell’accordo di data flow UE/US.
Big Tech. Alphabet (che controlla Google), Apple e Meta avrebbero violato il Digital Markets Act. La Commissione europea avvia un’indagine contro le tre aziende
È ancora scontro tra Europa e Big Tech americane, sempre in nome dell’apertura del mercato e del rispetto delle regole della concorrenza. Solo tre settimane dopo la pesante multa da 1,8 miliardi di euro comminata ad Apple da Bruxelles per violazione alla competitività in merito allo streaming musicale, la Commissione europea ha avviato ora un’indagine per non rispetto del Digital Market Act (Dma) – la legge sui mercati digitali entrata in vigore da due settimane – contro tre colossi digitali: Aphabet, che controlla Google, Meta, a cui fanno riferimento i social network Facebook e Instagram, e di nuovo contro il gigante di Cupertino.
Obiettivi e lacune della prima legge al mondo sull'intelligenza artificiale
Con 523 voti favorevoli, 46 contrari e 49 astensioni, dopo un lungo e travagliato iter nel quale talvolta sembrava di essere a un vicolo cieco, ieri il Parlamento europeo ha approvato l’AI Act, la prima regolamentazione al mondo sugli utilizzi dell’intelligenza artificiale e dei sistemi basati su questa tecnologia. Composto di 113 articoli e 12 allegati, il documento si propone di proteggere diritti fondamentali e la sostenibilità ambientale, mantenendo l’obiettivo di facilitare e promuovere la crescita di competitor europei ai colossi statunitensi.
L’articolo 3 è quello che definisce cosa si intende per intelligenza artificiale, ovvero «un sistema basato su macchine progettato per funzionare con diversi livelli di autonomia» e che dalle previsioni e dai contenuti generati «può influenzare ambienti fisici o virtuali». La definizione non si applica quindi ai sistemi di software tradizionali o agli approcci che si basano su regole predefinite.
La Commissione europea ha violato le norme sulla protezione dei dati personali per le istituzioni, il Gdpr, usando Microsoft 365. Lo ha fatto sapere il Garante europeo per la protezione dei dati, a seguito di un’indagine aperta sull’esecutivo europeo, che ha evidenziato come la Commissione non sia stata in grado assicurare un livello adeguato di protezione ai dati trasferiti fuori dall’Unione europea o dallo Spazio economico europeo.
Secondo il Garante, Wojciech Wiewiórowski, la Commissione ha infranto diverse disposizioni del regolamento 1725 del 2018, relativo alla protezione dei dati raccolti e trattati all’interno delle istituzioni, degli organi, degli uffici e delle agenzie dell’Unione. Una violazione che ha origine dallo stesso contratto stipulato tra Microsoft e l’esecutivo, nel quale l’istituzione ha mancato di specificare quali dati siano raccolti e a quale scopo quando si utilizza Microsoft 365, che comprende World, Excel, PowerPoint, Outlook e altri applicativi.
L’Antitrust Ue ha comminato una multa record da 1,8 miliardi di euro ad Apple per violazioni delle regole sulla concorrenza con i servizi di streaming musicale. Una nota dell’esecutivo europeo parla di “condizioni commerciali sleali” praticate dal gruppo. Secondo quanto emerso nell’indagine Apple non consente agli sviluppatori di app di streaming musicale di poter informare gli utenti con iPhone e iPad sui servizi di streaming musicale alternativi e più economici. L’indagine è partita su reclamo di Spotify. L’importo è nettamente più alto delle indiscrezioni di stampa che parlavano di una multa di 500 milioni.