Abbiamo parlato con il co-fondatore della comunità di attivisti hacker che hanno come obiettivo quello della protezione dei dati personali degli italiani online
Giornalettismo ha trattato in diverse occasioni le tematiche riguardanti il caso Google Analytics e il trasferimento di dati presso Paesi Terzi. Questioni affrontate anche a livello normativo sia dall’Italia che dall’Europa, con interventi che hanno modificato quello status quo divenuto una vera e propria routine. Ma cosa accade se anche la Pubblica Amministrazione non riesce a rimettersi al passo utilizzando strumenti in linea con gli impianti legislativi forniti dallo European Data Protection Board? Ne abbiamo parlato con Giacomo Tesio, co-fondatore di Monitora PA, la comunità italiana di hacker attivisti che ha come obiettivo primario quello di proteggere i dati riservati degli italiani.
Leggi l'intervista integrale sul sito "Giornalettismo".
Leggi anche "Come hanno reagito gli Atenei italiani alla richiesta di smettere di utilizzare i servizi di Google?"
Leggi anche la seconda parte dell'intervista
La registrazione di un webinar in cui Maria Chiara Pievatolo e Giacomo Tesio hanno provato a spiegare i problemi di Google & friends ad un gruppo di docenti delle superiori.
Il webinar è avvenuto sulla piattaforma di videoconferenza BBB messa a disposizione dal GARR.
Potete vederla nella piattaforma del GARR
Più di 60 partiti politici italiani trasferiscono illegalmente all'estero i nostri dati personali, alimentando il capitalismo della sorveglianza che li userà per alterare i risultati delle prossime elezioni. Questo il risultato dell'analisi dell'Osservatorio Monitora PA. La ricerca ha verificato che quasi nessun partito rispetta il pronunciamento del Garante delle Privacy che mette l'accento sulla "illiceità dei trasferimenti effettuati verso gli Stati Uniti". L'osservatorio Monitora PA ha scritto ai partiti politici chiedendo l'immediata interruzione di tali trasferimenti. Nel sito Monitora PA si possono leggere i risultati dell'analisi.
Di seguito un breve estratto tratto dal sito web. L'articolo 9 del Regolamento Europeo 2016/679 sui Dati Personali vieta espressamente il trattamento delle opinioni politiche dei cittadini a meno di specifici casi eccezionali.
Affinché le “intelligenze artificiali” che permettono questa manipolazione cognitiva su vasta scala funzionino, è necessario fornire loro le intenzioni di voto più probabile per ciascun elettore, in modo che possano selezionare i messaggi più efficaci per orientarlo nella direzione “giusta”.
Google sorveglia già milioni di italiani, quando telefonano o mandano un sms, quando scrivono o leggono un'email, quando mandano una foto al proprio medico, quando visitano un sito web o quando fanno un qualsiasi acquisto… e ne orienta in modo invisibile scelte, opinioni e comportamenti attraverso i contenuti che seleziona per ciascuno di loro.
Siamo hacker: poniamo domande e cerchiamo risposte
Per rispondere a queste domande, abbiamo deciso di orientare il nostro osservatorio su un elenco di partiti politici faticosamente creato dalla nostra comunità.
Sull'illiceità di tali trasferimenti si è già espressa il 16 luglio 2020 la Corte di Giustizia Europea con la sentenza Schrems II che ha riconosciuto come non valido il Privacy Shield in quanto la normativa statunitense impone alle società americane di fornire segretamente qualsiasi dato di loro interesse per qualsiasi cittadino straniero, senza nemmeno il bisogno dell'autorizzazione di un giudice. L'Autorità Garante per la Protezione dei Dati Personali, il 9 giugno 2022 ha ribadito il concetto, richiamando “all'attenzione di tutti i gestori italiani di siti web, pubblici e privati, l'illiceità dei trasferimenti effettuati verso gli Stati Uniti” e invitando “tutti i titolari del trattamento a verificare la conformità delle modalità di utilizzo di cookie e altri strumenti di tracciamento utilizzati sui propri siti web, con particolare attenzione a Google Analytics e ad altri servizi analoghi, con la normativa in materia di protezione dei dati personali”.
I risultati della nostra analisi sono talmente avvilenti che abbiamo deciso di presentarli in forma schematica, lasciando agli elettori l'onere di comprenderne la gravità.
Leggi i risultati dell'analisi sul sito Monitora PA
È solo un annuncio politico, non c'è ancora un testo, su un nuovo quadro per i flussi di dati transatlantici. Gli esperti privacy attendono di leggere il testo dell'accordo e Schrems già (ri)promette battaglia: "Se non conforme al diritto Ue lo porterò di nuovo in tribunale". Ecco i punti chiave.
L’accordo sul flusso di dati arriva dopo mesi di trattative e segue l’invalidazione nel luglio 2020 da parte della giustizia europea dell’intesa “Privacy Shield” che consentiva questo trasferimento, a causa dei timori sui programmi di sorveglianza americani. Secondo la Corte di giustizia Ue ‘Privacy Shield’ non preservava da “interferenze nei diritti fondamentali delle persone i cui dati vengono trasferiti’. Schrems: “Se testo non conforme al diritto Ue lo porterò di nuovo in tribunale”
E proprio il protagonista della decisione della Corte di giustizia Maximilian Schrems ha subito commentato, in modo critico, l’annuncio politico di Biden-von der Leyen utilizzando questa foto:
“L’accordo era apparentemente un simbolo che von der Leyen voleva, ma non ha il sostegno degli esperti a Bruxelles, poiché gli Stati Uniti non si sono mossi. È particolarmente spaventoso che gli Stati Uniti abbiano presumibilmente usato la guerra contro l’Ucraina per spingere l’UE su questa questione economica”, ha dichiarato l’attivista per la protezione dei dati personali.
Il Garante austriaco ha sentenziato che Google Analytics è illecito ai sensi del GDPR. Sorpresi? Non siatelo.
Il pronunciamento dell’Autorità Garante per la protezione dei dati personali austriaca (vedi articolo di Saetta) ha deciso che l’utilizzo del servizio Google Analytics, fornito da Google LLC, non è conforme alla normativa europea.
Walter Vannini spiega perché questo pronunciamente potrebbe diventare una valanga.
La ricostruzione dello scontro tra PagoPa e Garante Privacy sull'app IO e l'analisi di come stanno i fatti. L'Autorità controbatte il Governo e pubblica la relazione tecnica che dimostra come i dati di 11,5 milioni di italiani, utenti dell'app, siano trasferiti in Usa in violazione delle norme sulla protezione dei dati personali.
Vìola la privacy degli utenti IO, l’app “fiore all’occhiello” del Governo. A stabilirlo è stato il Garante per la protezione dei dati personali che, con il provvedimento adottato ieri, ha imposto alla società partecipata dallo Stato sviluppatrice dell’app, PagoPa, la limitazione provvisoria, “da rendere operativa senza ingiustificato ritardo, e comunque non oltre 7 giorni dalla ricezione del presente provvedimento”, dei trattamenti effettuati mediante IO che prevedono l’interazione con i servizi di Google e quelli di Mixpanel.
Come ormai sappiamo, WhatsApp ha dato un ultimatum a tutti i suoi utenti: chi non ha accettato la nuova policy entro il 15 maggio non potrà più usare WhatsApp.
L'azienda di proprietà di Facebook, con sede Europea in Irlanda, ci aveva già provato a febbraio 2021 sollevando feroci critiche che l'avevano indotta a rimandare la scadenza per avere il tempo di spiegare meglio agli utenti i cambiamenti introdotti nella policy.
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Di come la scuola italiana abbia dato il peggio di sé con la tecnologia, finendo con noncuranza nell’illegalità
L'articolo ripercorre le nefandezze delle scelte della scuola (e non solo) sul digitale con particolare attenzione alla questione dei dati e della privacy. Ricordando che "è ora, insomma, di rifiutarsi di essere merce che rappresenta l’ultima ruota del carro, e di ricordarsi di essere persone. È ora, ora, di dire basta."
Il 16 luglio 2020 la Corte di Giustizia europea si è pronunciata (qui il comunicato stampa) su una serie di ricorsi presentati dal legale Maximilian Schrems, invalidando l’accordo “Privacy Shield” tra l’Unione europea e gli Usa (qui annuncio di Noyb).
Il Privacy Shield è un accordo tra la Commissione europea e il Segretario al Commercio USA che consentiva un regime privilegiato per le aziende americane aderenti, nel caso di trasferimento dei dati personali dei cittadini europei verso gli Usa. Il Privacy Shield in realtà nasce sulle ceneri del Safe Harbour, che era stato invalidato dalla Corte di Giustizia europea nel 2015, anche qui a seguito del ricorso del legale Schrems.
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