E se il potere del capitalismo della sorveglianza fosse sopravvalutato?
Se la vera minaccia per i diritti e la privacy di ciascuno di noi fosse molto più a valle e la tecnologia c’entrasse solo fino a un certo punto? Prima di tutto, facciamo un passo indietro: con “capitalismo della sorveglianza” – termine reso celebre dalla sociologa Shoshana Zuboff tramite il suo omonimo saggio, pubblicato in Italia da Luiss University Press – si intende quel sistema tecnologico che permette di estrarre dati relativi alle azioni che compiamo sui vari social network, motori di ricerca, piattaforme di streaming, siti di e-commerce e molto altro.
Secondo Corey Doctorow, Zuboff attribuisce un peso eccessivo e ingiustificato al potere di persuasione delle tecniche di influenza basate sulla sorveglianza dei cittadini”. “La maggior parte di queste tecniche non funziona granché bene, e quelle che funzionano non durano a lungo. Al contrario, Zuboff è piuttosto serena riguardo a quarant’anni di pratiche antitrust permissive che hanno consentito a una manciata di aziende di dominare internet”.
Dopo aver raggiunto il successo le grandi aziende tecnologiche finiscono sempre con lo sfruttare gli utenti, gli inserzionisti e i lavoratori. È ora di invertire la rotta, per creare una rete davvero libera
L’anno scorso ho coniato il termine enshittification, merdificazione, per descrivere il declino delle piattaforme digitali. Questa parolina oscena ha avuto molto successo: evidentemente riflette lo spirito del tempo. L’American dialect society l’ha scelta come parola dell’anno del 2023 (per questo, temo, sulla mia tomba ci sarà inevitabilmente l’emoji della cacca).
Ma cos’è la merdificazione, e perché se n’è parlato tanto? È una mia teoria che spiega in che modo internet è stata colonizzata dalle piattaforme digitali; perché si stanno tutte degradando rapidamente e completamente; perché è un fatto rilevante e cosa possiamo fare per rimediare. Siamo nel pieno di una grande merdificazione, in cui i servizi su cui facciamo più affidamento si stanno trasformando in mucchi di merda. È frustrante, demoralizzante, perfino terrificante.
Cory Doctorow è un giornalista e scrittore canadese. Si occupa di diritti digitali e sicurezza informatica. È consulente dell’Electronic frontier foundation, un’organizzazione non profit che difende i diritti digitali e la libertà d’espressione su internet. Questo articolo è l’adattamento di un discorso tenuto a gennaio per la Marshall McLuhan lecture all’ambasciata del Canada di Berlino, in Germania.
Mai come in questo periodo di pandemia le multinazionali della tecnologia si stanno riempiendo le tasche. Nelle crisi economiche ci sono immancabilmente vincitori e vinti e che piaccia o meno lockdown, coprifuochi e stop agli eventi stanno consentendo ad Amazon, Facebook e compagnia bella di crescere ancora più rapidamente di quanto non stessero già facendo prima della pandemia. Basti pensare che sulla scia del successo dell’e-commerce l’AD di Amazon, Jeff Bezos, ha visto il suo patrimonio personale raggiungere la cifra record di 192 miliardi di dollari (+69,9% da marzo). Questo a metà ottobre, mentre i patrimoni di Mark Zuckerberg e Bill Gates salivano rispettivamente a 97,9 (+78,6%) e 118 miliardi di dollari (+ 20,4%), e quello di Eric Yaun, il fondatore di Zoom, passava da 5,5 a 24,7 miliardi di dollari (+349%). È giusto che così tanto denaro si concentri in così poche mani? È un processo reversibile?
Intervista di Raffaella Oliva a Cory Doctorow.