Autore: tante < tante@tante.cc >
Revisione: 1.1
Data: 29 dicembre 2021
Licenza: CC-BY-SA 4.0
Traduzione: nebbia < nebbia@mastodon.bida.im >
Articolo orginale: https://tante.cc/2021/12/17/the-third-web/
Speravo di non dover scrivere niente di tutto questo. Speravo che blockchain e NFT sarebbero scomparsi e che sarebbero stati soltanto un capitolo in un libro riguardante strane truffe finanziarie, ma se il 2021 ci ha insegnato qualcosa è che non c’è limite al peggio, quindi eccoci qui.
Se stai leggendo è perché hai un qualche interesse nel capire cosa siano il “Web3” o gli “NFT”. Forse qualcuno ti ha dato un link, forse mi segui da qualche parte. In questo articolo proverò a spiegare cosa indichino questi termini, quali siano le idee, le e politiche su cui essi si basano e ciò che io penso a riguardo. Farò del mio meglio per spiegare le idee di Web3/NFT nel modo più imparziale possibile, ma per onestà intellettuale mi sento di dover specificare che non sono un fan.
Perché qualcuno dovrebbe darmi ascolto? Quali sono le mie “credenziali”?
Lavoro nell'IT da anni ormai, facendo progetti come programmatore e concettualizzando e gestendo grandi progetti di automazione e trasformazione IT per diversi clienti.
Ho molta esperienza non solo lato software ma anche con le combinazioni hardware-software e con la progettazione dei processi sociali e organizzativi intorno ai sistemi software in questione.
Sono stato interpellato come esperto dal Bundestag riguardo all’argomento delle blockchain, al loro valore e la loro regolamentazione. Ne ho anche scritto abbastanza diffusamente per diverse
pubblicazioni e ho commentato apertamente l’intero movimento blockchain/Web3 praticamente sin da quando il mainstream ha iniziato ad interessarsene.
Non posseggo nessuna forma di criptovaluta.
Questo testo è per un pubblico generalista, per chi vuole capire perché di questi argomenti se ne faccia così un gran parlare e perché ce ne si dovrebbe occupare.
È per gli artisti che hanno sentito dire che gli NFT sono il futuro dell’arte e per i videogiocatori che hanno sentito la stessa cosa.
È per chiunque abbia ricevuto qualche lezioncina su come il futuro del web sarebbe stato costruito su questa nuova tecnologia che sembra difficile da comprendere.
È per tutti coloro che sono bombardati da opportunità di investimento in NFT che sembrano troppo belle per essere vere.
Per questo motivo mi soffermerò su degli aspetti che alcuni potrebbero già conoscere e aver già approfondito. Spiegherò certi concetti tecnologici solo per essere sicuro di partire tutti dalla stessa base; il titolo del paragrafo dovrebbe permettere di saltare le parti che non si sente il bisogno di leggere.
Nelle mie intenzioni questo documento dovrebbe coprire la maggior parte di ciò che è necessario sapere sull’argomento, con l’aggiunta di alcune osservazioni e riflessioni da parte mia. Sarò tuttavia trasparente riguardo a quali sono le mie opinioni e quello che è invece un tentativo di descrivere la realtà dei fatti.
Ho tentato di dare alle sezioni dei titolo descrittivi affinché si possa saltare direttamente alle parti che si ritengono più interessanti.
Questo documento è infine un documento vivo, ciò comporta che potrebbero esserci degli aggiornamenti. La versione del documento è segnalata in cima.
Cinture allacciate? Bene, si parte.
Tim Berners-Lee coniò il termine World Wide Web nel 1990 e costruì la base di quello che ora conosciamo col nome di Web 1.0 (che ancora vive nella maggior parte delle tecnologie che usiamo oggi su internet). Il Web 1.0 era una cosa di nicchia che permetteva forme molto limitate di design ed espressività visiva. Ciò per cui era stato principalmente concepito era permettere alle persone ( per lo più scienziati) di pubblicare il proprio lavoro, tuttavia le persone che vi avevano accesso, cioè coloro che erano addentro gli ambienti universitari, vi si appassionarono e iniziarono a pubblicare pagine web riguardo ai propri interessi, sperimentando con il formato in maniera artistica.
Pubblicare sul web rimaneva comunque arduo. Per produrre qualcosa che la gente potesse vedere e usare si necessitava almeno di una comprensione rudimentale di un sacco di tecnologie e di linguaggi di markup. L’accesso ad uno “spazio web” che potesse ospitare i propri dati era solitamente limitato alle persone che lavoravano nelle università ed agli studenti. C’è voluto un bel po’ perché si affermasse l’esistenza di provider terzi.
Verso la metà degli anni 90 emersero i primi negozi online ed iniziò la commercializzazione di internet.
Nel 1999 venne coniato il termine Web 2.0. Non si trattava di un aggiornamento come quello che si può effettuare al software di un computer, bensì della cristallizzazione di diversi sviluppi sociali e tecnologici che vennero definiti con l’uso di un termine onnicomprensivo.
Il Web 2.0 è caratterizzato da una maggiore facilità nella pubblicazione dei contenuti con l’aiuto di strumenti visivi che permettono di creare un sito senza avere la conoscenza dell’apparato tecnologico; questo è il motivo per cui viene anche chiamato “social web” o “partecipatory web”.
Gli avanzamenti tecnologici hanno reso molto economico (o gratuito, tramite la pubblicità) avere uno spazio web che si potesse utilizzare per costruire una community con i propri pari.
I forum sono stati un fenomeno importante e i blog hanno avuto il loro periodo d'oro con reti di blog che scrivevano e commentavano il lavoro degli altri formando connessioni che a volte durano fino ad
oggi.
Il Web 2.0 è anche responsabile del successo di molte delle grandi piattaforme che conosciamo oggi.
Facebook/Meta esiste solamente grazie alla spinta verso il contenuto generato dagli utenti. Google (ilmotore di ricerca) avrebbe potuto tranquillamente sopravvivere anche nel mondo del Web 1.0, tuttavia la maggior parte dei prodotti che l’azienda offre è connessa integralmente ai dati che gli utenti forniscono sia esplicitamente sia tramite l’uso stesso della piattaforma.
In risposta al termine Web2.0 è stata sviluppata l’idea di un Web 3.0, una cosiddetta “rete semantica” che avrebbe dovuto rendere i dati del web comprensibili e utilizzabili a macchine e software. Questo paradigma non ha mai veramente preso piede e nonostante alcune idee siano sopravvissute ed abbiano trovato applicazioni nelle tecnologie moderne, l’idea del web semantico è fallita sia perché i benefici sarebbero stati troppo pochi rispetto ai massicci sforzi richiesti per la transizione, sia perché la maggior parte dei grandi attori avevano poco interesse in tecnologie interoperabili di cui potessero beneficiare anche i propri competitor.
Così ad ora siamo nel Web2.0 (anche se ultimamente il termine non gode di molta fortuna) e lo utilizziamo ogni giorno anche attraverso le app sul nostro telefono. Nonostante sia stato un enorme successo, non è tutto oro quel che luccica.
Ultimamente il termine Web3 ha guadagnato popolarità, non perché ci sia stato un rinnovato interesse nelle idee e nelle tecnologie del web semantico, ma come mero successore del Web 2.0.
Sebbene il termine sia nato principalmente da una comunità basata su una specifica tecnologia di database chiamata "blockchain" (arriveremo a cosa sia più tardi), non è solo una la motivazione che spinge a promuovere il passaggio a un Web3: vi sono un insieme di motivazioni diverse e talvolta contrastanti. Non è facile elencarle tutte ma cercherò di delinearne le principali:
Ci sono altre motivazioni ed è raro che dietro ad una persona ve ne si celi una sola.
Magari un fondo speculativo potrebbe sia vedere un’ opportunità di fare soldi sia credere di star costruendo il futuro. Magari un’artista potrebbe averne le tasche piene di Facebook/Meta, Amazon, Google e contemporaneamente vorrebbe essere in grado di sostentarsi col proprio lavoro.
Credo comunque che le cinque motivazioni proposte coprano la maggior parte di ciò che incalza le persone che spingono per il Web3.
È abbastanza ovvio che queste motivazioni siano spesso contrastanti: voler costruire un web che non sia più alle mercé delle grandi corporazioni va in contrasto con l’obbiettivo dei venture capitalist che investono nel Web3, che poi sono spesso le stesse entità che hanno investito nei Moloc del vecchio web.
Se invece il tuo obbiettivo è quello di trovare un modo di utilizzare la tecnologia della blockchain allora potrebbe non importartene granché se grazie ad essa gli artisti riescono a vivere del proprio lavoro; potrebbe anche solo fregartene che qualcosa venga costruito sulla blockchain, non importa cosa.
Web3 è ancora un insieme di idee non molto ben definite, quindi è difficile dire con precisione cosa sia e cosa non sia, ma cercheremo di approssimarlo il meglio possibile. Per farlo, dovremo prima capire le tecnologie utilizzate.
Si potrebbero scrivere intere enciclopedie sui diversi stack di tecnologie che sono state costruite l’una sull’altra sotto l’egida del Web3. È effettivamente possibile che qualcuno l’abbia fatto, tuttavia in questo articolo ci concentreremo solo su tre di esse: le strutture di dati chiamate blockchain, uno specifico prodotto delle blockchain chiamato non-fungible-token o NFT e infine di una struttura organizzativa chiamata DAO.
Ci limiteremo a questo per amor di sintesi e per far sì che il testo sia comprensibile a tutti. Se sai già cosa sono queste cose allora puoi saltare questa parte. Se invece non lo sai allora non ti preoccupare, non è troppo lungo e possiamo affrontare l’argomento insieme.
Le blockchain sono un modo per memorizzare dati, un tipo molto specifico di database. I database tradizionali tendono a funzionare su un server (o anche più server, ma manteniamo il concetto semplice per chiarezza), mentre dei client che vogliono memorizzare o leggere i dati si collegano ad esso.
Le blockchain memorizzano i dati in un modo decentralizzato, il che significa che ogni nodo della rete ha tutti i dati localmente. Quando un server va in panne e su di esso è presente un database tradizionale nessuno può accedere ai dati memorizzati mentre negli approcci decentralizzati (di cui la blockchain è solo uno dei tanti esponenti) non c’è questo problema.
Ciò che rende le blockchain speciali è il modo in cui i dati sono organizzati: i dati sono messi all’interno di blocchi e ogni blocco si collega al suo predecessore formando la "catena". La proprietà speciale delle blockchain, mutuata da una vecchia idea chiamata Merkle Trees, è che la connessione dei blocchi rende i blocchi stessi immutabili. Ora vi spiego come funziona.
Diciamo che hai un blocco con 10 nomi che vuoi memorizzare in una blockchain. Dopo aver raccolto i dati del blocco (che includono i suoi metadati come ad esempio la data di creazione del blocco e l'identificatore del blocco precedente) lo "hashiamo".
L’hashing in informatica significa prendere un testo, passarlo attraverso un programma che crea una nuova stringa di testo, solitamente più corta, che può essere usata per controllare se il testo è stato cambiato.
Dato un determinato input una funzione hash crea sempre lo stesso output.
Cambiando anche di pochissimo il testo di input, ad esempio aggiungendo uno spazio bianco da qualche parte, il risultato della funzione hash sarà radicalmente diverso.
Ad esempio: la stringa "tante" hashata con sha256 (che è una funzione di hash molto utilizzata) è: eb4e5ad707b9c63725fdcb1fa645ec5cfdb284884ee3841eef274ed37fcc3c75.
La stringa "tante!" con un punto esclamativo aggiunto alla fine ha un hash di: ead36ca04a4d325c493e3871274efef1c02aa1cfc2f00667e61d560734485a15.
Piccoli cambiamenti nel testo portano a massicci cambiamenti nell'hash, quindi se qualcuno avesse manomesso il contenuto del blocco si potrebbe scoprirlo immediatamente. Poiché i risultati di una buona funzione di hash sono così imprevedibili, è quasi impossibile trovare un modo per manomettere i blocchi. Inoltre, generare un hash è anche molto veloce, quindi controllare la correttezza di un hash è molto facile.
Le blockchain usano proprio gli hash del contenuto dei blocchi per creare le connessioni che formano la catena: il blocco nuovo si collega al suo predecessore tramite il suo hash che a sua volta si collega al suo predecessore con il suo hash ecc.
E poiché l'hashing è così economico e conveniente in termini di risorse di computazione, è molto facile garantire che i blocchi non possano essere cambiati in una blockchain. Poiché il collegamento al blocco precedente è l'hash, non si può manipolare la catena. Anche se si provasse a puntare il collegamento ad un altro blocco manipolato, cambierebbe l'hash del blocco in uso. Questo trucchetto rende molto difficile, se non impossibile a tutti gli effetti, manipolare il contenuto di una blockchain: quando qualcosa è dentro, è dentro, e non si può cambiare.
Probabilmente ora avrai anche capito perché non si possono cancellare i dati nella blockchain: rimuovere i dati cambierebbe un blocco il che renderebbe necessario cambiare l'hash di praticamente ogni blocco successivo. Questa è anche la ragione per cui non si può mai annullare una transazione nella blockchain (perché ciò significherebbe cambiare un blocco). L'unico modo per “invertire” una transazione è avere che il ricevente rimandi indietro l'oggetto trasferito.
Suona tutto benissimo. Molti applicativi non basati sulla blockchain utilizzano gli stessi concetti. Ciò che rende speciale le blockchain è che sono in grado di garantire la coerenza pur essendo decentralizzate, il che significa che ogni nodo della rete ha (in teoria) gli stessi dati, gli stessi blocchi.
Tutto ciò pone una questione non banale, soprattutto perché in un sistema veramente decentralizzato senza alcun governante o arbitro non c’è nessuno a risolvere i conflitti.
Così si è reso necessario inventare una strategia per generare il consenso all’interno della rete.
Il problema del consenso è il motivo per cui la blockchain ha una reputazione problematica, ed il motivo per cui alcune blockchain hanno bisogno di tanta energia quanto un paese di medie dimensioni per esistere.
Il problema che le blockchain affrontano è in realtà piuttosto ostico: come ci si assicura di avere una struttura di dati coerente quando non si ha né un arbitro né tutti i nodi si conoscono o si fidano l'un l'altro? Come si può proteggere il sistema dalla manipolazione? E inoltre, come si fa a decidere chi deve creare il prossimo blocco?
L'approccio attualmente più popolare nelle blockchain (come in quelle di Bitcoin e Ethereum) è chiamato "Proof of Work": per aggiungere il prossimo blocco alla catena, si deve risolvere un problema piuttosto difficile la cui soluzione è facilmente verificabile da tutti.
Nella blockchain di Bitcoin ad esempio, quando si crea un blocco si può aggiungervi del testo extra, una specie di “commento”: non ha alcuna funzione per quanto riguarda le transazioni incluse nel blocco, ma viene utilizzato per calcolare l’hash (vedi sopra).
Diciamo che per esempio si dia alle persone il compito “trova un hash che inizia con 123”. Anche selezionando diversi set di transazioni o spostando la loro sequenza si potrebbe non essere in grado di soddisfare il compito; potrebbe non esistere il blocco il cui contenuto crei quel tipo di hash. Il "commento" extra dà abbastanza spazio di manovra per provare opzioni diverse. Le persone dovranno ancora provare un sacco di volte a indovinare il testo giusto per creare un blocco che inizia per 123, ma sarà sempre possibile.
Dopo aver trovato un testo/commento che ha creato il giusto tipo di hash tutti gli altri possono facilmente vedere che la soluzione è corretta e tutti possono iniziare la corsa verso la creazione del prossimo blocco. Il processo qui descritto è esattamente il fantomatico processo di “mining”: aggiungere un nuovo blocco alla catena ed ottenere la relativa ricompensa. (Nella blockchain di Bitcoin si viene ricompensati per il mining di un blocco con alcune monete "create dal nulla". Inoltre le persone che vogliono che le loro transazioni siano aggiunte rapidamente ai blocchi possono aggiungere a loro volta un’ulteriore ricompensa in Bitcoin.)
Quindi, la creazione del consenso tramite "Proof of Work" consiste solamente nell'indovinare parole e numeri molto velocemente. Poiché nella maggior parte delle catene la creazione del prossimo blocco è ricompensata, c'è una motivazione per investire molta energia nel risolvere il problema e aggiungere il blocco: più un Bitcoin vale, più energia ha senso bruciare per creare il prossimo blocco ed essere ricompensati con altre monete.
Esistono anche altre strategie per la creazione del consenso. Un’altra molto popolare è chiamata “Proof of Stake” e permette alla persona che possiede il numero più alto di “token” (spiegheremo di cosa si tratta più avanti) di decidere quale sarà il prossimo blocco, e se questa persona abusa del proprio potere i suoi token potrebbero andare perduti. Questa strategia richiede meno energia ma ha altri problemi (come ad esempio l'intrinseco sbilanciamento di potere fra chi ha più e chi ha meno token: un ricco vincerà sempre il conflitto con un povero).
Si possono memorizzare tutti i tipi di dati nelle blockchain, ma la maggior parte delle blockchain ora viene utilizzata per memorizzare transazioni, cioè i movimenti di token o di valore tra un portafogli e l’altro. Ora parliamo di token.
Sappiamo come funziona la blockchain ma rimane ancora da capire cosa effettivamente sia un Bitcoin, non a livello teorico, non andiamo a impelagarci nelle teorie del valore e della moneta, ma a livello tecnico.
I blocchi della blockchain contengono transazioni fra i portafogli (o più semplicemente, conti). Un portafoglio si crea generando una chiave crittografica segreta ed in principio contiene 0 Bitcoin. Attraverso la creazione di un nuovo blocco o ricevendo da qualcuno dei Bitcoin, il saldo del portafogli cambia. I Bitcoin non sono un “oggetto” e nemmeno un “oggetto digitale”, sono piuttosto l’astrazione di ciò di cui si tiene traccia in un registro. Si “possiede” un Bitcoin se il portafoglio ha memorizzato che al suo interno c'è almeno un Bitcoin, ma non è possibile prelevarlo come ad esempio si fa con il denaro in banca.
I Bitcoin sono solo un’astrazione narrativa per parlare di numeri che si muovono tra dei portafogli o conti.
Non tutte le blockchain seguono un modello semplice come quello di Bitcoin. Ethereum per esempio, l’altra blockchain più famosa, integra il concetto degli “Smart Contract”. Il nome è fuorviante poiché non viene messo in atto nessun tipo di contratto: si tratta semplicemente di pezzi di codice che vengono eseguiti quando si verfiicano determinate condizioni. Tramite questi pezzi di codice si può fare qualsiasi cosa, anche creare nuove tipologie di oggetti digitali.
In un certo senso si potrebbe dire che la blockchain di Bitcoin supporta esattamente un solo tipo di smart contract, che consiste nel Bitcoin e nel modo di trasferirlo da un portafogli all’altro. Invece sulla blockchain di Ethereum è possibile creare nuovi contratti e funzionalità implementandoli nella catena stessa. Volendo si potrebbe ad esempio creare un nuovo token chiamato "Testcoin" sulla blockchain di Ethereum che è gestito dal proprio smart contract.
La maggior parte dei token è detta “fungible”: ciò significa che non importa quale token tu abbia poiché sono tutti uguali. Ciò permette inoltre di dividere il token, mandarne dei pezzettini da qualche parte e poi “rimetterli assieme” con altri pezzetti provenienti da altri token. È praticamente ciò che è possibile fare con la “valuta tradizionale”: non importa quale banconota da 10€ si abbia in tasca poiché è possibile tranquillamente pagare anche solo 50 centesimi di quei 10 euro.
Ad un certo punto qualcuno ha capito che si potevano creare dei token diversi, “non-fungible”, non fungibili. Ciò significa che questi token non sono frazionabili e che è importante sapere se il proprio è il token numero 1 o il token numero 13. Questi token vengono spesso usati per rappresentare un bene fisico o qualcos’altro che si presuppone sia unico e univoco: questo è l’NFT, “non-fungible-token”.
Gli NFT sono speciali perché vanno contro uno dei principi cardine del digitale, cioè l’infinita riproducibilità. Solo una persona può avere uno specifico NFT nel proprio portafogli che non può essere clonato. Si potrebbe creare un token diverso con lo stesso contenuto, ma sarebbe comunque un differente oggetto all’interno della blockchain. Il secondo “falso” NFT verrebbe subito facilmente riconosciuto come tale.
Per il resto gli NFT sono come altri token su una blockchain. Possono essere spostati tra i portafogli e lo smart contract che li governa può per esempio imporre che si spostino solo quando le condizioni richieste sulla blockchain sono soddisfatte. Il trasferimento potrebbe per esempio scattare solo quando il pagamento è andato a buon fine.
DAOs acronimo di “decentralized autonomous organizations” (organizzazioni decentralizzate autonome) sono essenzialmente degli smart contract con uno scopo. Quando di solito si pensa ad un’organizzazione si pensa ad un gruppo di persone con un qualche obbiettivo comune ed un insieme di regole che governano il modo in cui funziona l’organizzazione. Questo solitamente include un qualche tipo di struttura gerarchica di potere o altre forme atte a prendere decisioni collettive. Le DAO sono un tentativo di togliere il fattore umano dal processo implementando una logica per cui è il codice a farla da padrone.
Una DAO è uno smart contract che prende decisioni a proposito di qualcosa basandosi su dati ed eventi. Un’idea molto popolare per esempio è scrivere un codice che decida quando e su cosa investire denaro. Le persone possono investire i loro token nella DAO che poi prende decisioni su quei fondi secondo il codice dello smart contract. Questo è solo un esempio, effettivamente le DAO possono essere implementate per qualsiasi cosa.
Il concetto di DAO è importante perché nonostante dal punto di vista tecnologico siano soltanto uno smart contract, esse sono in realtà una forma di organizzazione (considerabile anche come forma di sistema tecnologico sociale) che prima dell’avvento della blockchain non era mai stata implementata in questo modo.
Con questo abbiamo coperto le basi tecnologiche. Sarebbe possibile ovviamente approfondire oltre, esistono anche blockchain con altre caratteristiche, ma per ora sappiamo abbastanza da poterci fare un’idea generale.
Cerchiamo ora di capire cos’è il Web3.
Parliamo di Web3. Se hai deciso di saltare il capitolo sulla tecnologia, bentornato. Proviamo a fare un riassunto di cosa sia il Web3. Il Web3 non è un’insieme definito di tecnologie e protocolli, ma in effetti non lo era neanche il Web2.0. Proprio come il Web 2.0, il Web3 porta con se alcuni presupposti tecnologici, aspirazioni, idee, ideologie e obbiettivi sovrapposti. In un certo senso il Web3 sta facendo qualcosa e quel qualcosa lo sta chiamando Web3. Ma nonostante tutte le contraddizioni e le ambiguità, alcune questioni sono fondamentali per il Web3.
Proviamo a dare una definizione sommaria:
Il Web3 consiste in un backend e un’infrastruttura basate sulla blockchain che si interfacciano con le tecnologie di rete esistenti, che mira a ristrutturare internet in modo radicalmente decentralizzato e individuale. I servizi necessari agli individui per operare all’interno di questa nuova struttura (come ad esempio gestione dell’identità, archiviazione dei contenuti ecc) sono forniti tramite smart contract decentralizzati o tramite servizi basati su di essi.
Il frontend per utilizzare il nuovo internet del Web3 rimane simile a quello attuale (browser, app ecc) ma i contenuti non provengono più da server centralizzati ma da fornitori di contenuti basati su blockchain, dando agli individui proprietà effettiva dei dati e dei contenuti che creano e/o acquistano.
Il Web3 non è stato creato per farvi buttare via il browser. Tutt’altro, molte cose non cambierebbero: si potrebbe per esempio scrivere un commento sotto un articolo in un blog, ma quel commento non risiederebbe sul server del gestore del blog, sarebbe memorizzato in una blockchain e collegato all’identità del commentatore, il che significa che non potrebbe mai essere completamente cancellato. Il gestore del blog potrebbe decidere di nascondere l’articolo ma il commento sarebbe sempre comunque in qualche modo disponibile e collegato all’articolo originale.
L’identità è molto importante per il concetto di Web3, non nel senso di identità legale, ma nel senso di “avere un insieme di identità utilizzabili a cui sono collegati contenuti/token” poiché i token hanno un senso solo quando hanno un proprietario.
Il Web3 permette comunque di avere tutte le identità che si vuole, di associarvi dei token ed interagire nel Web: non è un sistema per cui ad una persona corrisponde una sola identità.
I teorici del Web3 hanno un’ossessione per i token. Tutto dovrebbe essere un token. Un dominio? Un token. Un post su un blog? Un token. Il tuo account sulla versione basata su blockchain di Twitter? Un token. Il Web3 trasforma tutto il possibile in token, sia perché è ciò che funziona bene sulle blockchain, sia soprattutto perché il token garantisce la possibilità di accertare un diritto di proprietà "reale". Quando un dominio internet è un NFT che qualcuno possiede non ci può mai essere una disputa su chi sia il proprietario del dominio. È ovviamente chi possiede il token. Chi può cancellare o modificare un contenuto (non “cancellare” o “modificare” veramente, in realtà “caricare una nuova versione”)? Ovviamente la persona che possiede il token corrispondente. Esistono anche sistemi in cui attraverso uno smart contract più persone detengono un token e il contratto definisce le regole su come raggiungere il consenso sul trasferimento del token.
È tutto un po’ strano, ma alcune cose non sembrano così male vero? Ora addentriamoci in quelle che sono le convinzioni politiche dietro l’idea di Web3, prima di tuffarci in qualche osservazione critica.
Ogni tecnologia come ogni artefatto umano è portatrice intrinseca di idee politiche. Alcuni artefatti sono talmente pregni di una visione politica che senza di essa non hanno senso di esistere (una pistola “racchiude” in se la politica della violenza). Altri artefatti ereditano la loro politica dalle persone e dalle comunità che li progettano e li usano. Tutto ciò è molto evidente anche per quanto riguarda il Web3. Web3 non è un mero aggiornamento tecnologico del web attuale, non è una patch per implementare alcune nuove caratteristiche e forse risolvere alcuni bug. È una completa riprogettazione tecnica, ma ancora di più una riprogettazione sociale e politica.
Potrebbe essere difficile notarlo dato che i servizi offerti dal Web3 sembrano indistinguibili da quelli che già conosciamo, ma sotto di essi si cela una nuova ideologia, o almeno una forma molto più radicale di un'ideologia di una già esistente.
La lista che segue non è completa, ho scelto solo quelli che considero gli aspetti più importanti.
La comunità Web3 ha molto a cuore la decentralizzazione. Le blockchain sono state sviluppate all'indomani della recente crisi finanziaria globale, quando le banche "troppo grandi per fallire" hanno quasi trascinato l'economia globale all'inferno con loro. Le blockchain sono state costruite proprio per evitare che ciò possa accadere, e questa è un'ideologia che Web3 ha pienamente abbracciato. La “decentralizzazione” è sempre una delle caratteristiche principali sbandierate dai progetti basati su Web3.
La decentralizzazione è considerata come una sorta di garanzia, o forse più precisamente una precondizione necessaria, per la giustizia e/o l'uguaglianza. I sistemi centralizzati sono visti non solo come inaffidabili e corrotti, ma anche come un pericolo per la libertà perché permettono di rimuovere o bloccare contenuti per un qualsivoglia motivo.
Oltre alla decentralizzazione, il Web3 ama la trasparenza. Chiunque può guardare nella blockchain e scoprire da sé la verità. Non esiste alcun dibattito su quale sia la verità e nessuna informazione viene nascosta. Tutti sanno esattamente le stesse cose e possono quindi agire di conseguenza.
Trasparenza e decentralizzazione sono i principi cardine grazie ai quali si dovrebbe poter proteggere le persone e l'integrità della rete.
Il Web3 è basato su una definizione negativa di libertà, non nel senso di giudizio di valore, ma in senso strutturale: principalmente nel Web3 la libertà significa libertà dalle restrizioni. L’idea di una (possibile) censura si riallaccia molto al pensiero del Web3: la cancellazione o la restrizione dei contenuti è uno dei punti principali di chi sostiene l’idea che il web attuale dovrebbe essere sostituito con il Web3.
Questa visione molto libertaria del concetto di libertà si riflette in molti dei costrutti politici e sociali proposti dal Web3: “lo stato” o “il governo” sono percepiti come entità malvagie e inette con le loro “politica”. Continuando sul percorso delineato da J.P. Barlow con la “Dichiarazione d’indipendenza del cyberspazio”, il Web3 non riconosce nel governo un attore chiave del proprio esistere: i governi vengono visti come una minaccia alla libertà, e se è chiaro che il Web3 non può direttamente rimpiazzare gli stati, viene spesso avanzata comunque l’idea delle DAO come una forma più efficiente di organizzazione delle persone in contrasto con le gigantesche e lente strutture degli apparati politici. Il Web3 vede le regole come qualcosa in cui "investire" accettando uno smart contract.
Nel Web3 non c’è spazio per la politica intesa come lo spazio dove le persone dibattono al fine di prendere una decisione. Le strutture sociali sono costruite in maniera da rimuovere l’elemento umano codificando la struttura stessa all’interno di uno smart contract.
Il web attuale è costruito attorno molti sistemi politici e sociali. Quando per esempio qualcuno registra un dominio internet per il quale qualcun altro ha registrato il marchio esistono dei modi per liberare il dominio, tuttavia è un’operazione complessa non sempre equa. Nel Web3 la questione si risolve con il possesso del token. Quella è la legge. Non c’è alcun dibattito su come la legge dovrebbe essere applicata. Possiedi il token? Allora sei tu il proprietario di ciò che è ad esso collegato.
Quest’ideale rimuove la necessita di molte sovrastrutture di supporto esistenti nei sistemi tradizionali: se quello che dice lo smart contract è vero e tu hai mandato il token a qualcun altro allora qualsiasi cosa fosse collegata a quel token non è più tua, che tu lo abbia fatto volontariamente o meno.
Infine, come avevo già precedentemente accennato, il Web3 è il web della proprietà. Ogni oggetto è di proprietà di qualcuno, ogni oggetto può essere scambiato con qualcun altro. Attualmente attraverso la legge abbiamo già un sistema di regole a tutela di chi possiede artefatti intellettuali, ma Web3 rende queste strutture di tutela alla proprietà solide, trasparenti e inattaccabili. La proprietà può essere venduta o data. Sono possibili anche altre forme di accesso ai contenuti, per esempio non è necessario vendere il token di un post su un blog per farlo leggere a qualcuno. Questa nuova struttura a tutela della proprietà costituisce la base per molte nuove forme di attività economica che finora non sono state ragionevolmente possibili: si potrebbero per esempio implementare uno smart contract secondo il quale si viene pagati quando qualche azienda vuole usare i tuoi dati personali, ipotesi che alcuni attivisti per la privacy sostengono.
Queste sono quindi le idee politiche e le convinzioni fondamentali su cui si basa il Web3 e la tecnologia blockchain su cui esso è costruito. Infatti la stessa blockchain condivide molte delle medesime propensioni. Questo conclude la parte descrittiva. Passiamo all'atto finale.
Complimenti per essere arrivato fin qui. Arriviamo ora al motivo per cui ho buttato tutto questo tempo scrivendo questo articolo. Perché non possiamo lasciare che la gente faccia quello che vuole? Perché continuo a rompere le scatole e criticare pubblicamente il Web3?
Qui di seguito ci sono le mie critiche in ordine sparso. A seconda del caso specifico alcune potrebbero avere più senso di altre, ma tutto sommato ritengo che tutte quante siano applicabili alla sfera del Web3. Inoltre da qui in avanti smetterò ogni qualsivoglia pretesa di neutralità sull’argomento.
Come ho spiegato all'inizio dell’articolo, sono un informatico, ho studiato e ho molta esperienza. Uno dei problemi principali che ho con Web3 è che è un caso eclatante di pessima ingegneria.
Ethereum, la blockchain che tutti utilizzano, ha la potenza computazionale di un Apple II. Utilizza la stessa quantità di elettricità dei Paesi Bassi ma da un punto di vista della performance è di una lentezza immane, del tipo che un vecchio Raspberry Pi riesce a fare di meglio. Ma il problema non sono solo le performance: visto che la rete necessita di tempo per costruire il consenso per ogni blocco, l’aggiungere una transazione alla blockchain è un’operazione ridicolmente lenta. La blockchain di Bitcoin può gestire 4,5 transazioni al secondo. E questo per TUTTI I BITCOIN DEL MONDO. Ethereum fa un po’ meglio con 30 transazioni al secondo. Di nuovo, è ridicolo. La rete che VISA utilizza per processare i pagamenti con carta di credito gestisce fino a 24000 transazioni al secondo (e attualmente ne sta gestendo solo 1740). Provate a mettere questi numeri uno vicino all’altro per capire di cosa stiamo parlando.
Allo stato attuale i servizi Web3 funzionano perché ad utilizzarli sono solo una manciata di nerd. Non sono semplicemente stati progettati per scalare.
Esistono dei modi per rendere tutto più veloce. Per esempio, rimuovendo il requisito della formazione del consenso e incaricando un arbitro tutto potrebbe velocizzarsi, ma alla fine il risultato sarebbe un database centralizzato, di quelli anche abbastanza fastidiosi da utilizzare.
Le carte di credito vengono rubate ogni giorno, e se capita alla tua è una gran seccatura. Bisogna farsi dare una nuova carta, chiamare la banca e dire che quelle transazioni non le hai fatte tu. Di nuovo, una seccatura. Tuttavia esistono dei sistemi per proteggerti e farti riavere i soldi. Non sono perfetti, ma funzionano.
Con un sistema basato su blockchain tutte queste protezioni non possono esistere perché non c’è modo di invertire le transazioni. Se i tuoi risparmi di una vita sono in Bitcoin e qualcuno riesce ad avere accesso al tuo portafogli quei soldi si volatilizzano e sei fottuto. Visto quanto è facile cliccare su bottone sbagliato, quanto è facile convincere la gente a cliccare in una mail di phishing o quanto è facile infettare i computer con dei virus, accettare il rischio che ciò accada è una posizione indifendibile. Se in questo mondo un virus può mandare in fumo tutti i tuoi soldi e non esiste un modo per annullare l’operazione allora questo è un mondo che non dobbiamo volere. Abbiamo bisogno di più protezione per la gente, non di meno.
Quando un ingegnere deve costruire un sistema per prima cosa si chiede quali siano i requisiti. Cosa deve fare il sistema che devo costruire? Come devo farlo? Per chi? In seguito ci si rivolge alle tecnologie esistenti e si vedrà quale tecnologia e piattaforma si adattano meglio ai requisiti. Con il Web3 è il contrario. Abbiamo la blockchain, buona solo per eseguire transazioni sicure non regolamentate senza pagare le tasse (i Bitcoin) ma vogliamo per forza usarlo anche per altro. Siccome nei 10 anni in cui le blockchain sono esistite non è emerso alcun caso d'uso reale i fan della blockchain hanno deciso di rimodellare il problema del web centralizzato e controllato da poche aziende forzandoci dentro la blockchain per poi sostenere di aver trovato la panacea. E no, non l’hanno trovata, e questo segna un altro anno in cui non è stato trovato alcun caso d’uso per la blockchain all’infuori dell’evasione fiscale.
Uno degli obbiettivi di Web3 è plasmare anche il mondo reale e ciò che si trova al di fuori della blockchain attraverso i token, in particolar modo gli NFT. Anche se ho creato un NFT che sostiene che io possegga la Monna Lisa (cosa che qualcuno ovviamente ha fatto) ciò semplicemente non è vero, indipendentemente da quel che dice il token.
Gli NFT inoltre non creano alcun diritto legale su nulla. Si può possedere un NFT che rimanda ad una schifosa immagine di una scimmia, ma ciò non crea automaticamente una licenza d’uso per l’immagine, né te ne conferisce la proprietà. Si possiede una cosa che dice che se ne possiede un'altra, ma non si ha alcuna autorità o diritto su di essa. Ci sono un mucchio di blockchain e smart contract NFT concorrenti che rivendicano tutti la proprietà dello stesso oggetto. Puoi effettivamente creare un NFT che punti alla "tua" scimmia sostenendo che sia tua, ma perché il tuo NFT dovrebbe essere migliore del mio?
Gli NFT sono molto affascinanti perché sembrano così facili: crei una cosa e ora puoi vendere la cosa, come accadeva nel mondo analogico. Ma la gente può ancora cliccare con il tasto destro sull'immagine, scaricarla e usarla. Quindi cosa significa "proprietà" in questo contesto? Che cos'è la proprietà se non ti dà alcun diritto applicabile? È per caso l’opportunità di essere lo zimbello di Twitter quando inveisci contro la gente che ha scaricato la tua scimmia e l’ha messa come foto del profilo?
Gli NFT sono solo una strana truffa e non servono a nulla. Se si trattasse davvero di vendere arte digitale lo faremmo da secoli. In Fortnite, come tutti i videogiochi free to play, si vendono oggetti cosmetici per soldi veri. È da un pezzo che si vende l’arte digitale. Il videogioco Diablo aveva persino un mercato per vendere gli oggetti digitali guadagnati ad altri giocatori. Gli NFT non sono una rivoluzione, ma un'ingombrante reimplementazione di cose che già facevamo o che stiamo già facendo meglio e in modo più efficiente.
Questo punto vale per tutto ciò che nel Web3 (e nella blockchain) è collegato a oggetti e relazioni nel mondo reale, oltre che per le astrazioni e la produzione dei diritti. Questo è quello che in informatica chiamiamo “Il Problema dell’Oracolo”.
In parole povere il Problema dell'Oracolo dice che dall'interno di un sistema non si può determinare la veridicità delle affermazioni sull'esterno di quel sistema. Ad esempio, se il sistema in questione è un programma per computer, esso non può dirvi nulla sul meteo del mondo reale perché il meteo non è all'interno del sistema computer. Si possono costruire sensori o interfacce che traducono il meteo per il computer, ma a questo punto tutto dipenderebbe da quel sensore: sarà buono abbastanza? Potremo fidarci? Starà funzionando correttamente?
Il Web3 vuole che tutto venga integrato nel sistema della blockchain, ma molte di queste cose (come la proprietà di un oggetto fisico) potrebbero essere integrate solo attraverso oracoli di cui ci si dovrebbe fidare. Ed ecco che va in fumo la storia dell’“approccio decentralizzato senza nessuna autorità”. E se qualcuno decidesse di trasferire un oggetto nel mondo fisico senza aggiornare la blockchain? Cade tutto a pezzi.
La convinzione che si possa controllare il mondo reale mettendo dei rimandi a oggetti e relazioni in una struttura di dati immutabile a sola aggiunta non solo è ingenua, ma va contro quello che viene insegnato in ogni corso di base di informatica.
Questa devo proprio tirarla fuori. Attualmente Ethereum, la blockchain utilizzata per la maggior parte delle strutture del Web3, consuma circa la stessa quantità di elettricità dei Paesi Bassi a causa del suo algoritmo di consenso Proof of Work. Tutto questo è indifendibile. Questo "computer mondiale", che può fare meno di uno smartphone economico di 5 anni fa, crea inquinamento da CO2 come uno stato di medie dimensioni. Anche se stessimo correndo in pericolo di perdere i migliori scritti di questo pianeta a causa della censura (e non lo siamo) e solo e soltanto la blockchain potesse salvare questi scritti dalla cancellazione (e non è vero) non sarebbe comunque facile sostenere a voce alta che la distruzione dell'ambiente ne varrebbe la pena.
È stato detto che Bitcoin utilizza per lo più energia rinnovabile (e non è vero), ma anche se lo fosse la domande da porsi è, dovremmo davvero spendere l'energia di un paese di medie dimensioni per un casinò per nerd o dovremmo usarla per alimentare ospedali, trasporti o riscaldare le case?
Sì, Ethereum passerà ad un algoritmo di consenso più sostenibile in pochi mesi. Già. Sono anni che passerà ad un nuovo algoritmo in pochi mesi.
Non parliamo nemmeno di tutti i rifiuti elettronici che produce l'estrazione delle criptovalute.
I sostenitori della blockchain e del Web3 si riempiono spesso la bocca con i diritti umani, ma il diritto a un pianeta abitabile con aria respirabile e senza inondazioni o siccità che affogano e affamano le persone più povere del pianeta è anch’esso un diritto umano in netta contrapposizione all’uso delle blockchain.
Le criptovalute sono un gioco a somma zero: ciò significa che perché qualcuno possa tirare fuori dei soldi, qualcun altro deve metterli dentro. I guadagni di una persona sono le perdite di un'altra persona. Questo è un problema per chi possiede un mucchio di criptovalute che hanno un valore teorico elevato ma che non si ha alcun modo di venderle per soldi veri.
verificare Questo è uno dei motivi per cui gli NFT hanno fatto il botto: hanno portato più persone nel sistema, i quali hanno dovuto comprare Ether (il token di Ethereum) per creare o comprare i loro NFT. Le persone che possedevano i token E questi sono soldi che le persone che possedevano i token hanno potuto usare per incassare. verificare
Alcuni definiscono addirittura le blockchain come "giochi a somma negativa" perché mentre finanziariamente nessuno può vincere senza che altri perdano, l'intero gioco distrugge l'ambiente mentre lo fa, lasciando il mondo peggiore di quanto fosse prima, indipendentemente dalla distribuzione della ricchezza.
Sapendo tutto questo è moralmente sbagliato far entrare altre persone nel giro. Anche se ci fossero servizi Web3 incredibilmente utili (e non ci sono), così facendo si stanno esponendo le persone a rischi enormi. È comodo fare appello alla libertà del singolo di fare quello che vuole, ma io come tecnologo sento l'obbligo morale di proteggere le persone dai rischi derivanti dall'uso di certe tecnologie pericolose. Lo scopo di un sistema è ciò che produce, e se un sistema produce truffe e schemi piramidali allora quello è il suo scopo. E questo sistema deve essere eliminato.
Web3 promette un sacco di cose parlando di "decentralizzazione". Ma l’uso che viene fatto di questo termine è quello di un un feticcio vuoto che sostituisce i necessari dibattiti su giustizia, uguaglianza e sulla posta in gioco. Gridare semplicemente "è decentralizzato non cambia i rapporti di potere: la posta elettronica è decentralizzata e il mio server di posta elettronica ha gli stessi protocolli e la stessa merda di tecnologia che ha utilizza Google, ma non sono in alcun modo la stessa cosa. Se Google blocca il mio server di posta, non posso più raggiungere la maggior parte di internet. La decentralizzazione è un'idea vuota, fumo negli occhi per nascondere che la comunità Web3 non ha alcuna risposta alle questioni dell’eguaglianza o dei monopoli.
Sono convinto che alcune persone si siano avvicinate al Web3 in buona fede. Odiano che il web sia controllato da poche aziende, fondamentalmente in un regime di monopolio, e hanno ragione. Ma la loro nuova struttura non ha protezioni contro il ripetersi della stessa dinamica. Il web non è centralizzato perché lo è la tecnologia. Anche il nostro attuale web è tecnologicamente capace di funzionare in modo decentralizzato. Sono le strutture economiche e sociali a lavorare per la centralizzazione. E lo faranno anche con il Web3.
Il loro intero stack tecnologico in questo momento è già centralizzato. Ci sono solo pochi mercati per comprare e vendere token, ci sono solo pochissimi mercati NFT. Il Web3 esiste a malapena, ma è già centralizzato.
Più che di trasparenza stiamo parlando di vuotezza: a cosa serve vedere che i tuoi token sono stati rubati quando non puoi fare nulla per riaverli? La trasparenza senza la possibilità di agire è solo crudeltà.
Ai sostenitori di Web3 piace molto affermare di essere apolitici. "Tutti sono benvenuti, noi siamo neutrali". Facciamo pure a meno di chiederci se qualcuno voglia unirsi a una comunità basata su idee reazionarie e libertarie di destra. Questa storia dell’essere apolitici è banalmente una bugia.
Web3 vuole togliere di mezzo la politica per come la conosciamo da molte cose, ma non perché voglia essere "neutrale", bensì per togliere i diritti democratici e le regole di partecipazione. Quando è solo il codice a decidere e non c'è uno spazio per il dibattito e la lotta politica, come fa chi non ha diritti ad essere ascoltato? Come fanno gli indifesi a organizzarsi e a ribellarsi?
La politica è fatta di lotte, di persone che hanno interessi diversi e lottano per difenderli spesso contro avversari politici. Web3 non vuole "starne fuori", vuole che non vi sia alcuna lotta politica. Il mondo deve essere organizzato dagli smart contract creati da coloro che hanno risorse e competenze, e tu potresti essere autorizzato ad utilizzarli. O forse no.
C'è una ragione per cui così tanti venture capitalist sono entusiasti del Web3, c’è una ragione per cui investitori come Andreesen Horowitz stanno spingendo così tanto il Web3. È un nuovo spazio di accumulazione. Ciò che attualmente non è ancora completamente monetizzato e finanziarizzato può finalmente diventare veicolo di accumulo capitalistico rendendo finalmente i venture capitalist ancora più ricchi.
Ci sono parti della vita digitale che non si possono ancora vendere, ed è questo che si vuole cambiare. Tutto deve essere comprato e venduto, tutto è solo veicolo per ulteriori speculazioni. La ragione per cui il grande capitale vuole che tu sia in grado di rivendere il tuo token di accesso a qualsivoglia servizio (invece di comprarlo o affittarlo come oggi) è che in questo modo è possibile creare ancora più mercati per la speculazione e gli smart contract possono essere impostati in modo che da tutto sia possibile trarre profitto.
È un disegno politico: insegnare alla gente che tutto si può comprare e vendere è un'idea di destra che era caduta in disgrazia, e Web3 è qui per cambiare questa nozione. E dopo aver messo in discussione tutti quei fastidiosi diritti umani nel modo digitale, metterli in discussione nel mondo analogico reale sarà molto più facile. Perché non puoi venderti un rene se puoi vendere tutti i tuoi dati?
Capisco molte delle motivazioni che spingono la gente a voler ripensare il web. I monopoli, gli squilibri di potere, l'ineguaglianza e l'ingiustizia.
Capisco che i creativi siano alla disperata ricerca di modi per guadagnarsi da vivere decentemente e che vendere NFT sembri un modo molto semplice per fare un po' di soldi. Lo capisco, abbiamo bisogno di trovare un modo di vivere che permetta alle persone di lavorare alla propria arte o a qualsiasi altra cosa vogliano ed essere comunque vestiti, nutriti, protetti e aiutati. Dignitosamente.
Ma il Web3 non è la soluzione.
Non è la soluzione perché semplicemente non fa quello che vorrebbe fare. Non impedirebbe a una nuova entità centralizzata di emergere e non redistribuirebbe il potere. In realtà toglierebbe importanti meccanismi di protezione che attualmente esistono.
Ma c'è di più. Web3 è un progetto estremamente offensivo dal punto di vista morale.
La promessa con cui è nata Internet, quella di dare alle persone accesso alle informazioni e alla pubblicazione delle informazioni verrebbe sostituita da un casinò senza regole che letteralmente brucia il pianeta. Davvero non riesco a pensare a qualcos’altro di così spregevole. Siamo animali sociali destinati alla distruzione quando lasciati a noi stessi ma i sostenitori del Web3 vogliono un’ulteriore individualizzazione, trasformando tutto ciò che riguarda il nostro io digitale e analogico in oggetti per la speculazione mentre un commercio semi-automatico di beni sostituisce la politica. La completa finanziarizzazione e depoliticizzazione della vita senza alcun riguardo per le conseguenze ecologiche.
Non è una visione utopica. È una dichiarazione di guerra contro i progressi politici e sociali degli ultimi decenni. E io non sono disposto a sventolare bandiera bianca. Aside from the question whether everyone wants to join a community that’s largely based on reactionary and right-wing libertarian ideas that’s factually untrue.